Dove sono le donne nei management della moda italiana? È questo uno degli interrogativi pulsanti nell’ambito della ‘questione femminile’ del fashion, intricata tra i temi della rappresentanza e della rappresentazione, del potere e, in definitiva, del peso che le donne ricoprono in un settore così influente nel panorama economico del Paese, e non solo. Sono stati indubbiamente tanti i passi avanti fatti e, secondo il report 2024 dell’Area Studi di Mediobanca, le donne sono arrivate a rappresentare nell’anno passato un terzo dei membri dei consigli d’amministrazione nelle imprese della moda nel mondo.
Guardando all’Italia, però, lo scenario appare meno confortante: ancora secondo Mediobanca, sarebbero meno di un terzo le donne presenti nei board della moda nel Belpaese, ancora lontano dal ruolo di ‘best in class’ e al di sotto della media internazionale, con un peso femminile pari al 31% nei cda delle maison, superata dalla Francia, ancora imbattuta con il 50% di ‘posizioni rosa’ nei board, e Stati Uniti (40 per cento). Dietro all’Italia, la Germania che segna una percentuale del 29%, e il Giappone, con solo un 10% di donne rappresentate nei propri cda fashion.
Allineate anche le stime fornite a Pambianco Magazine da PwC Italia, secondo cui si è assestata al 27% la presenza femminile nei board di un campione di imprese tra le maggiori della moda nazionale, scelte come osservatorio delle evoluzioni del fenomeno. Sul fronte più ampio degli organi collegiali, che includono non solo i cda ma anche i collegi sindacali e la rosa dei procuratori, la percentuale di donne secondo la società di consulenza è pari al 30,9%, rispetto al 28,2% del 2022. Meno di una donna italiana su tre, però, ancora, ha ricoperto nel 2023 posizioni apicali all’interno delle ‘stanze dei bottoni’ delle principali maison.
Nella moda, non discostandosi troppo da quanto accade in altri settori, le donne si dispongono su quella che è a tutti gli effetti una piramide, in cui la presenza femminile è concentrata nei ruoli più bassi della filiera produttiva. Secondo il barometro 2023 elaborato da PwC Italia in collaborazione con Il Foglio, nel 2022 le donne hanno rappresentato gran parte del settore impiegatizio, con un fetta pari al 67,3%, e della manodopera, contando il 57,8% di operaie. Percentuali che scendono significativamente man mano che ci si avvicina all’apice della piramide, in cui la loro presenza aumenta progressivamente nel tempo ma resta ancora minoritaria. Il ‘soffitto di cristallo’ è per loro ancora difficile da abbattere, in un sistema che vede ben poche maison appartenenti ai colossi della moda affidare non solo ruoli di potere manageriali ma anche il timone creativo a figure femminili.
Sul fronte manageriale, è tra le fila di Kering che si è fatta largo una delle donne di punta del momento: Francesca Bellettini, riemersa dal terremoto che ha investito il gruppo la scorsa estate in qualità di deputy CEO, carica che si è aggiunta alle già ricoperte posizioni in Yves Saint Laurent, di cui è presidente e CEO. Il recente ruolo assunto la pone, dunque, al centro del management del player, e vede gli amministratori delegati dei singoli brand del gruppo rispondere a lei. Tra le poche donne in ruoli apicali, l’executive italiana ben incarna la logica dell’eccezione, quell’eccezione che conferma la regola: un sistema, un sistema moda, anche, in cui il percorso delle donne verso il potere è ancora accidentato e più tortuoso.
Ma la questione femminile vive nella moda una contraddizione ancora più atavica e apparentemente paradossale, che risiede nella sua fruizione storicamente e ancora spiccatamente agita proprio dalle donne. Che sono state e in parte sono ancora le principali interlocutrici, destinatarie, talvolta muse e sempre consumatrici dei suoi messaggi. Ma tra chi la moda la crea, la produce, la distribuisce e, in definitiva, la controlla, le donne sono ancora troppo poche. È proprio qui che si annida il fulcro, tra potere e rappresentazione, della sfida delle donne ai vertici del fashion.
In quella che sembrava in passato una discrepanza ineliminabile, oggi intervengono però anche i risultati di un’evoluzione normativa che corre rapidamente sotto la spinta della Comunità europea e della sua nuova sensibilità quando si parli di parità di genere. Da ricordare la recente emanazione di due importanti norme: innanzitutto la legge 162 del 2021, che è intervenuta modificando ad esempio alcune rilevanti disposizioni inserite nel Codice delle Pari Opportunità, e il decreto legislativo 105 del 2022, che ulteriormente è intervenuto con disposizioni finalizzate a migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare per i genitori e per i prestatori di assistenza, i caregiver.
Infine, l’ultima direttiva sulla trasparenza salariale nell’Unione europea che è stata approvata il 10 maggio del 2023, già in vigore e che dovrà essere recepita anche dall’Italia (entro il 2026). “Sicuramente è una tematica innovativa perché interviene su tutta quella che è la disciplina della trasparenza retributiva”, sottolinea l’avvocato Valentina Pepe, partner di Pepe & Associati, esperta di diritto del lavoro e di relazioni sindacali. “Noi – evidenzia – abbiamo sempre assistito sino ad oggi ad una logica inversa: la privacy che copre la riservatezza di questi dati, primo fra tutti la retribuzione. Ecco che adesso assistiamo ad una inversione delle logiche: la privacy, che è sempre stata rappresentata come un principio basilare, cade dietro al divieto di discriminazione e alla volontà di rendere cogente la parità di genere bel mondo del lavoro”. Una normativa che l’avvocato non esita a definire “dirompente” perché “interverrà sui sistemi di valutazione e classificazione professionali neutri sotto il profilo del genere.
L’approfondimento completo incentrato su donne e potere nella moda e le sfide per la parità di genere nel settore è disponibile nel dossier dell’ultimo numero di Pambianco Magazine.