“Ma chi è?”. Di fronte a un volto nuovo, nel mondo della moda, questa è una domanda molto frequente. E alle tante sfilate in calendario, tra i front row e negli affollati backstage, alle cene esclusive degli stilisti o davanti alle schiere di fotografi, sono tanti gli addetti ai lavori che a vicenda si interrogano giocando a una sorta di ‘Indovina chi’ – soprattutto quando a richiamare l’attenzione sono ragazzi giovanissimi, chi più famoso e chi meno. Celebrità, cantanti di qualche talent show o attori di una serie Netflix per teenager – sentenzia qualcuno in tutta fretta – ma non esattamente, o perlomeno non solo.
Molti dei personaggi più richiesti oggi dai brand di moda, presenze fisse ormai da qualche stagione ingaggiate appositamente e scoperte tramite delle agenzie di talent, sono i content creator di ultima generazione: tiktoker, streamer e youtuber, che in molti casi hanno superato da poco la soglia dei 20 anni ma che si sposano perfettamente con l’immagine e la ‘coolness’ dei marchi che vestono. A rimarcare il loro valore, con un posto di spicco nella creator economy (dove i guadagni dei mid-tier e dei micro influencer – se preso in considerazione solo Instagram nel 2023 – crescono rispettivamente del 23 e del 17,5% rispetto ai tonfi delle celebrities, che su TikTok arrivano addirittura a perdere il 67,7% delle loro entrate), è anche e soprattutto il loro seguito, oltre che il cosiddetto engagement che sono in grado di alzare tramite i loro profili social o canali di streaming.
Secondo quanto riportato dalla società di strategia e comunicazione digitale DeRev nel suo ultimo report, infatti, dallo scorso anno le aziende hanno cominciato a ripartire il budget dedicato all’influencer marketing su più protagonisti, andando a ridurre gli investimenti da grandi cifre su personaggi noti e sovraesposti. E il cambio di rotta verso degli ‘attori’ più piccoli (in un mercato che solo in Italia nel 2024 si stima debba raggiungere un valore di 375 milioni di euro, segnando un +8% sullo scorso anno, e che a livello globale – riporta Il Sole 24 Ore – vale invece oltre 30,81 miliardi di dollari nel 2023), è motivato – spiega il CEO di DeRev, Roberto Esposito – “dal loro saper offrire target più profilati e un grado superiore di fiducia da parte della propria community, che si traducono in un’autorevolezza di merito, fondata sulla qualità e sul valore dei contenuti che producono, e non sulla fama”.
Il cambiamento dunque non fa capo solo a una pura questione generazionale – il vecchio che fa spazio al nuovo -, ma piuttosto a un nuovo esperimento di comunicazione da parte, in questo caso, delle case di moda, che vogliono ora non focalizzarsi più, a differenza di quanto accadeva fino a qualche tempo fa, sulla quantità dei contenuti, quanto piuttosto sulla loro qualità. Inoltre, collaborare con dei profili più piccoli permette di garantire una maggiore credibilità (lavorando a stretto contatto con molte realtà, gli influencer più seguiti e pagati risultano difficilmente credibili talvolta) e di arginare possibili crisi di reputazione, derivate da una cattiva pubblicità, prendendo così più facilmente le distanze da casi di ‘shitstorm’ – in Italia il caso del ‘Pandoro gate’ di Chiara Ferragni è l’esempio più recente e calzante.
“Nel mondo del lusso si è passati dal prendere delle decisioni basate sulle preferenze degli uffici stampa ad attenersi invece a dei dati scientifici. Dietro ogni operazione i marchi hanno messo in moto una strategia specifica: se in una prima ondata di influencer marketing i brand facevano a gara ad accaparrarsi il creator con 5-10 milioni di follower, in quanto prima c’era un rapporto stretto tra il numero di follower e il numero di views, negli ultimi 3-4 anni, con l’evoluzione di TikTok e del suo algoritmo, l’attenzione si è spostata dalla fanbase alla viralità e alla qualità del singolo contenuto”, spiega Karim De Martino, senior vice president, international business development di Open Influence.
La vera chiave di volta per ottenere dei buoni risultati risiede dunque nella creatività e nel rispettare dei trend. che sulla piattaforma cinese risultano vitali: più il contenuto sarà ricercato, studiato sulla base di ‘cosa funziona’ al momento e più permetterà di distinguersi tra i centinaia di scroll al minuto. Sotto questo aspetto TikTok, che con una certa frequenza – precisa De Martino – “rilascia proprio ai brand di moda dei documenti con i maggiori trend” -, è stato un changemaker per l’intera influencer economy. La sfida per i fashion brand è stata in prima battuta quella di comunicare in maniera efficace sulla piattaforma (diventata nel giro di sei anni un fenomeno pop da oltre 1,6 miliardi di iscritti nel 2023), che guarda quasi interamente alla Gen Z e alle generazioni ancora a venire – per le maison, i cosiddetti clienti del futuro.
“È una necessità che parte secondo me dall’alto: dover essere presenti su quelle piattaforme per intercettare determinate generazioni, per lavorare a un contenuto, implica – aggiunge De Martino – dover ingaggiare quegli stessi content creator appartenenti a quelle generazioni”. Non a caso ad oggi l’app che fa capo al colosso informatico ByteDance è quella forse capace di mantenere un rapporto migliore con le fashion house. “TikTok ha costruito una relazione con i brand che gli altri social network non avevano, ancora una volta più basata sul contenuto che sulla sola sponsorizzazione (come potevano inizialmente essere Facebook e Instagram, ndr). Indirizza un’azienda a capire cosa funziona meglio sulla piattaforma in organico, poi certamente vende anche dei pacchetti di sponsorizzazione, però prima di tutto aiuta a essere ‘presenti’ in maniera intelligente”, conclude.