L’Autre Chose chiude definitivamente i battenti. Il Tribunale di Fermo ha infatti emesso la sentenza di fallimento nei confronti della società marchigiana, già in liquidazione, che produce abbigliamento ready-to-wear, accessori e calzature femminili. L’azienda di Porto Sant’Elpidio è controllata per il 95% dal fondo Sator Capital di proprietà di Matteo Arpe, che l’aveva rilevata dalla famiglia Boccaccini una decina di anni fa, acquisendone poi progressivamente le quote. Il restante 5% è invece in mano al direttore creativo Nicolò Beretta, già fondatore di Giannico, il brand di calzature di lusso che L’Autre Chose aveva rilevato nel 2019.
Nelle scorse ore, il giudice delegato Sara Marzialetti ha dichiarato il fallimento di L’Autre Chose dopo aver accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che si opponeva al salvataggio tramite concordato pieno liquidatorio, teso a salvare gli attuali 70 posti di lavoro e autorizzato dallo stesso tribunale esattamente un anno fa. La corte ha inoltre nominato Roberto Nicolai come curatore, convocando i creditori il prossimo 31 ottobre per l’esame dello stato passivo.
La sentenza di fallimento arriva in coda alla liquidazione che era stata chiesta dalla stessa Autre Chose – già passata attraverso le difficoltà della pandemia, culminate nello sciopero dei lavoratori del novembre 2021, a fronte dei reiterati posticipi sul fronte dei pagamenti dei salari – come risultato di un’assemblea straordinaria dei soci, non essendo intervenuta “la programmata cessione dell’intera azienda in funzionamento, indispensabile per il suo risanamento e posta alla base del piano di concordato in continuità depositato l’1 giugno 2022”, aveva spiegato allora l’amministratore unico Stefano Palmieri.
L’ultimo bilancio noto de L’Autre Chose, risalente a marzo 2023, metteva in luce un patrimonio netto negativo per oltre 14 milioni di euro e 15,2 milioni di debiti a fronte di ricavi per poco più di 2 milioni. Numeri lontani dai 17 milioni che l’azienda fatturava nel 2013 al tempo dell’ingresso di Arpe nell’azionariato della Boccaccini spa, allora con una quota di minoranza del 49 per cento.