La fuga dei milionari dalla Cina sta già modificando le rotte strategiche delle grandi realtà del lusso. Come evidenzia l’Henley Private Wealth Migration Report 2024, siamo di fronte a un nuovo picco, dopo il crollo del 2020-21, del fenomeno di deflusso di coloro che dispongono di un patrimonio liquido investibile pari o superiore a un milione di dollari (circa 922mila euro). Solo quest’anno saranno 15.200 gli Hnwi (high-net-worth individuals) che lasceranno il Paese del Dragone, spinti dalla repressione degli stili di vita opulenti e dalla stretta proibizionistica di Pechino, in crescita rispetto ai 13.800 del 2023. Numeri che portano la Cina al primo posto per perdite previste, seguita dal Regno Unito con 9.500 uscite stimate e dall’India con 4.300.
Per il lusso, questa diaspora comincia ad avere un impatto sia nei Paesi di uscita che d’entrata, presupponendo un generale riallineamento della ricchezza globale. Australia, Emirati Arabi Uniti – dove quest’anno sono attesi 6.700 Hnwi –, Singapore e Stati Uniti emergono come le destinazioni privilegiate grazie alle loro politiche fiscali vantaggiose. Ma in pole position c’è anche l’Arabia Saudita, in pieno fermento verso l’Expo del 2030 e i Mondiali di calcio del 2034 da cui ci si attende un aumento del flusso di turisti e clienti high-spender in entrata.
“È probabile che i milionari cinesi in movimento siano tra i più ricchi, ovvero con più capacità di spesa”, spiega Flavio Cereda, co-investment manager luxury brands di Gam. “Questa uscita comincia a pesare sul fatturato dei maggiori centri commerciali di lusso in Cina e, di conseguenza, anche su certi brand high-end che interagiscono con questa fascia di consumatori”, prosegue l’analista, sottolineando che l’impatto per ciascuna griffe varierà a seconda del grado di esposizione e presenza fisica sul territorio. “Ricordiamoci che i prezzi in Cina sono di solito più alti che altrove e quindi esiste anche un ragionamento da fare sulla redditività locale”, precisa.
Va sottolineato a questo punto che la sfida che si sta definendo è completamente diversa rispetto alla volatilità e al rallentamento della spesa del “consumatore aspirazionale”, pure un altro fattore che sta contribuendo all’attuale debolezza del lusso, per cui Ey prevede quest’anno una crescita contenuta tra lo 0 e il 3% nella prospettiva di una ripresa nel 2025.
“Nonostante la contrazione dovuta alla politica interna, alle tensioni ai confini con Taiwan e Hong Kong e al rallentamento del mercato immobiliare, la Cina resta uno dei mercati più importanti per il lusso e la seconda nazionalità per importanza d’acquisto per il settore, dopo gli statunitensi”, chiosa Federico Bonelli, Retail, fashion & luxury leader di Ey Europe West. “Per questo, non è un mercato che grandi gruppi e aziende del settore possono permettersi di abbandonare o depotenziare”.
I grandi player del lusso si trovano quindi di fronte a una doppia prova, tra continuare a servire chi resta in Cina e seguire la ricca migrazione in atto, per catturare un segmento di mercato in crescita e che continua a guidare la spesa. Per questo, davanti al deflusso di capitali, Gam parla di “fatturato che si sposta, piuttosto che di fatturato perso”. Infatti, “i costi fissi sono prevalentemente il risultato di una presenza diretta sul territorio, ma con un segmento variabile, legato alle spese di eventi, trunk e vip shows, dov’è possibile intervenire facendo attenzione però a non diluire la presenza della griffe a livello mediatico”, precisa Flavio Cereda.
E seguendo le rotte migratorie si comincia a prestare più attenzione a quei presidi geografici “che permettono di intercettare le migrazioni dei clienti high-spender, con investimenti mirati nel lusso e nel beauty. Una strategia già evidente nel fiorire nei Paesi della penisola araba di joint venture e accordi distributivi tra realtà luxury e operatori locali che controllano catene commerciali e grandi mall”, spiega Federico Bonelli.
Gli effetti dell’uscita dei milionari dalla Cina iniziano quindi a farsi sentire per il lusso, che non può dimenticare chi resta ma deve anche affrontare l’indirizzarsi verso altre aree della spesa di tanti Hnwi, dopo che tra 2020 e 2022, quando la mobilità era interdetta per le misure anti-Covid, gli acquisti dei clienti high-spender sono avvenuti interamente entro i confini nazionali. “Visto che il loro è un peso sproporzionato, data la capacità e propensione all’acquisto, un effetto comincia a esserci”, dice Cereda. “Ma per ora è ancora abbastanza gestibile da parte delle griffe, mentre è più sfidante per gli operatori commerciali. Per quanto riguarda il futuro, invece, molto dipenderà anche dalle decisioni politiche di Pechino”.
di Giada Cardo