Dalle semplici e canoniche presentazioni all’introduzione di format innovativi, pensati per avvicinare sempre di più il cliente finale all’identità del marchio. Il fondatore e CEO di Antony Morato, Lello Caldarelli, mescola le carte in tavola raccontando di un approccio diverso al mercato per un brand di moda. Un nuovo modo di comunicare, più creativo, che non guarda solo al prodotto ma che abbraccia ogni sfumatura del dna di un brand. L’obiettivo? Creare una community che si rispecchi nei valori che il marchio porta con sé.
Iniziamo con qualche dato: dopo aver raggiunto i 76,2 milioni di euro nel 2023, come avete performato nei primi tre mesi del 2024?
Abbiamo appena chiuso la prima trimestrale con un risultato abbastanza modesto di 30,2 milioni di euro, a confronto con uno storico di 29,3 milioni e quindi con una crescita del 3 per cento. L’obiettivo era prefissato a +7, ma a causa di alcuni ritardi sul wholesale, con fattori che non possiamo calcolare, come il blocco del canale di Suez, abbiamo dovuto spostare alcune consegne ad aprile. Restando positivi, sono sicuro che l’aumento di sette punti percentuali lo raggiungeremo con la semestrale.
Quali sono i mercati più importanti per il vostro business e dove si concentreranno i prossimi opening?
A livello di aree, io divido sempre in base a dove dobbiamo consolidare, sviluppare ed entrare. Il più importante a livello di fatturato rimane il mercato italiano, che ha un’incidenza tra il 35 e il 40 per cento. Seguono la Spagna con un 25% e la Germania, che ha superato il 10 per cento. Complessivamente, l’Europa pesa per un 70 per cento. A livello di potenziale, manteniamo invece alta l’attenzione sull’area dei Balcani, dove a livello wholesale abbiamo una distribuzione piuttosto capillare e dove abbiamo già sviluppato il retail. Abbiamo aperto in Macedonia il primo negozio e ci avviciniamo ad aprire il primo in Bosnia ed Erzegovina nel secondo semestre, a cui seguirà il primo in Serbia, a Belgrado.
Un altro mercato su cui stiamo puntando è la Colombia, dove sempre nella seconda metà dell’anno apriremo il quarto store. Rimane poi la Romania: un mercato in cui andremo a sviluppare un piano retail. In futuro invece, ‘al centro del mirino’ ci sono in questo momento Indonesia, Nigeria e Vietnam. Tre economie importantissime.
Tra i progetti futuri, si avvicina anche l’apertura del secondo flagship a Milano.
Esatto. Il nostro obiettivo è quello di inaugurare il nuovo punto vendita a novembre, ma c’è la possibilità che l’apertura slitti in primavera. Lo store sorgerà in via Torino e si svilupperà su uno spazio di vendita di 120 metri quadrati.
Vi state avvicinando all’ultima tappa del vostro progetto ‘The Sound of Unity’: come sta andando?
Inizialmente, quando abbiamo ideato il contest, ci eravamo prefissati come obiettivo 500 iscritti. Anche perché era la prima volta che lanciavamo un contest del genere, specialmente in un settore come quello della musica elettronica. Attualmente siamo arrivati a quasi 1.100 adesioni. Uno degli aspetti più belli è che sono artisti provenienti da 17 Paesi diversi. Abbiamo già fatto i primi due bootcamp a Madrid e Milano e attualmente siamo impegnati con quello di Napoli, dove stiamo facendo esibire le ‘short list’ degli artisti più bravi. Tra loro verranno scelti i finalisti, che si esibiranno a Firenze il prossimo giugno, dove verrà annunciato il vincitore.
Si chiuderà quindi un percorso straordinario, nato per creare una forte community attorno al marchio e per andare oltre al classico racconto di un brand di moda. Penso che oggi il consumatore non si accontenta sapendo semplicemente cosa fa un marchio in termini di prodotto, ma vuole sapere a cosa si ispira e quali sono i suoi ideali. Parallelamente, in questo modo siamo anche in grado di dare un’importante visibilità agli artisti coinvolti nel progetto. Un piccolo spoiler: l’anno prossimo replicheremo il format cambiando il genere musicale. Esploreremo un’altra parte dell’identità di Antony Morato: se con il primo capitolo ci siamo concentrati sulla musica, nel secondo scopriremo l’elemento del viaggio.
L’introduzione del contest vi ha portato a ripensare la vostra presenza a Pitti Uomo.
Il nostro evento a Firenze rientra nel calendario della manifestazione ed è in collaborazione con Pitti Uomo. Insieme all’organizzazione, circa un anno fa, abbiamo pensato di partecipare alla fiera con una modalità diversa. Possiamo dire che quest’anno siamo ‘diversamente Pitti’. Volevamo iniziare un percorso per uscire due stagioni dalla Fortezza, per organizzare degli eventi che parlassero meno di prodotto ma più del mondo che ruota attorno ad Antony Morato. A gennaio abbiamo però già in programma di rientrare, presentando comunque il prodotto in una modalità sempre differente. Per noi Pitti Uomo rimane una manifestazione molto importante ed una realtà che negli anni ci ha aiutato in maniera significativa nell’evoluzione della nostra brand awareness.
Penserete mai a un ritorno nel calendario della Milano fashion week?
Seppur non in modo assiduo, a Milano siamo stati presenti in calendario con degli eventi ad hoc, sempre non legati al prodotto ma pensati principalmente come un momento di svago ed inclusione. Attualmente però non abbiamo alcun piano per entrare in pianta stabile a Milano Moda Uomo. Non escluderei però delle future ‘intrusioni’.
In che modo Antony Morato rappresenta un esempio dell’imprenditoria del sud Italia?
È un tema che mi sta molto a cuore. Vorrei sfatare questo falso mito: aprire un’impresa a Napoli non è difficile, è solo diverso dal fare imprenditoria, per esempio, a Milano o Verona. E anche Milano ha le sue difficoltà quando si tratta di mandare avanti un’impresa, specialmente nel campo della moda. Io penso che, a differenza di quanto accade nel nord Italia, la maggior parte degli imprenditori si concentra solo sugli aspetti negativi, invece che su quelli positivi del business, e alla lunga questo diventa un pretesto per dire, appunto, che fare imprenditoria al sud è difficile. Non so se dipende dal fatto che oggettivamente nel sud Italia c’è meno offerta di lavoro, ma io personalmente mi sono sempre concentrato su quello che definisco il ‘capitale umano’, perché qui trovo che sia più facile creare delle sinergie e anche delle realtà a conduzione famigliare che ti fanno sentire come a casa.