Sir Paul Smith torna a Firenze. Oggi il designer inglese allestirà un evento per aprire l’edizione 106 di Pitti Immagine Uomo. Lo stilista ha fondato la sua azienda partendo da una piccola boutique di nove metri quadrati a Nottingham nel 1970. Sin dagli esordi, la label è sempre stata sinonimo di tailoring. Pochi hanno saputo innovare il classico abito sartoriale maschile con un approccio tanto innovativo quanto riconoscibile. Nel 2000 è stato insignito del titolo reale di Cavaliere dalla Regina Elisabetta II ed è a tutti gli effetti un simbolo dell’identità british al pari del Big Ben.
Cosa ricorda del suo primo Pitti Uomo?
Penso di essere stato il primo fashion designer a cui è stato chiesto di allestire una sfilata a Pitti Uomo nel 1993 e adesso eccomi pronto a tornare. Adoro Pitti Uomo perché è una manifestazione che riunisce piccoli brand ma anche marchi affermati. Al giorno d’oggi tante aziende conducono business enormi, allestiscono show ed eventi scenografici che coinvolgono celebrity e influencer. Ciò che apprezzo di questa manifestazione è la sua autenticità, certo ci sono le sfilate ma in generale le aziende coinvolte organizzano presentazioni più modeste.
Lei cosa ha in serbo per il pubblico di Pitti Uomo?
La mia non sarà una sfilata ma una presentazione. Il punto focale sarà la collezione, porterò circa 20 look. Il mondo della moda propone sempre più spesso passerelle ‘larger than life’, io ho intenzione di realizzare qualcosa di più personale essendo anche il designer nonché proprietario dell’azienda, posizione decisamente unica nel panorama attuale. Questa stagione alcuni preferiscono non sfilare a Parigi a causa del caos dovuto alle Olimpiadi. Io non ho scelto Firenze per questo motivo ma perché penso sia il momento perfetto per offrire qualcosa che proviene dal cuore.
Qual è il suo rapporto con l’Italia?
Ho una casa nella campagna lucchese da oltre trent’anni, ho un’amore speciale per l’Italia e da più di quarant’anni sono all’interno di negozi meravigliosi, ho il piacere di collaborare con clienti come Bernardelli, Tessabit e Biffi. Ovviamente l’estetica ha un valore pregnante: gli abiti ben fatti, i tessuti fantastici come quelli prodotti a Biella. Il mio tailoring è made in Italy, anzi made in Veneto, i tessuti invece provengono dal Piemonte.
Come è cambiato il fashion system negli ultimi anni? E com’è cambiato il suo brand?
L’industria è cambiata enormemente rispetto a quando ho iniziato. Agli albori l’idea era dare vita a ciò che sentivo sperando potesse piacere a qualcuno. Adesso l’approccio per molte aziende si basa sulle analisi di marketing, sulla demografica, su TikTok, sulle celebrity e le influencer. È una modalità completamente diversa, il mondo si sta deteriorando con un approccio che definirei ‘sloppy’. La moda, soprattutto dopo il Covid, è diventata più casual. Sebbene i nostri abiti sartoriali riscuotano sempre molto successo le persone vestono in maniera più rilassata, non dico sia giusto né sbagliato ma è un dato di fatto. Penso si possa ancora vestire in maniera formale ma con un twist, un blazer di cashmere con una camicia in denim e blu jeans, coordinare gli indumenti in maniera creativa senza rinunciare alla qualità e alla buona manifattura.
Cosa significa essere un’azienda indipendente nel 2024?
La mia azienda ha 54 anni e sono ancora il proprietario, è un miracolo! Pochi brand sono attualmente indipendenti e non acquisiti dai grandi colossi del lusso. È difficile perché i grandi brand hanno tanto potere in termini di locazione dei negozi, promozione, advertising e potere editoriale nei magazine. Essere indipendenti significa fare affidamento su abiti ben fatti ma anche sul carattere della persona al comando.
Ha mai pensato di vendere la sua società?
Ho ricevuto diverse offerte negli anni, alcune molto buone, ma non ho mai accettato. Forse nei prossimi anni potrei considerare questa opzione a causa della mia età e anche perché adesso ho la Paul Smith Foundation che sta facendo cose meravigliose con giovani creativi nell’ambito dell’arte, del design, della moda. La mia vita è il mio lavoro, mi arricchisce perché l’azienda è molto reale ma nei prossimi anni potrei pensarci.
Cosa ha rappresentato la Brexit per le aziende inglesi come la sua?
La Brexit ha reso tutto enormemente più difficile senza alcun dubbio. La maggior parte degli inglesi meridionali non avrebbe voluto lasciare l’Unione Europea. In termini di business è stato devastante, mi è costato un grande quantità di denaro perché abbiamo dovuto imparare nuovi metodi commerciali per interagire con gli altri Paesi, mi è costato milioni di sterline in sistemi informatici per comprendere i nuovi regolamenti. Siamo presenti in 65 Paesi e ci sono modulistiche specifiche per ciascun mercato senza contare la guerra in Ucraina. È un periodo sfidante per molte aziende, inclusa la mia.
Qual è il suo rapporto con la tecnologia e i social network?
Ho un account Instagram personale diverso da quello aziendale perché scatto foto ogni giorno come hobby. Mio padre era un fotografo amatoriale e da quando ho 11 anni scatto fotografie, all’inizio della mia carriera ho anche collaborato con Casa Vogue. Sono quindi abituato. Oggi tutti fotografano in ogni istante grazie agli smartphone. Io e mia moglie non possediamo un computer né email, lei non ha neppure un cellulare, è una donna fortunata! Lo sono anch’io perché ho le mie assistenti che rispondono alle centinaia di messaggi che ricevo ogni giorno, apprezzo la tecnologia ma preferisco tenere la mente libera e osservare il mondo.
Ha spesso dichiarato la sua passione per l’arte, da cosa deriva?
Mia moglie ha frequentato una scuola di pittura ed entrambi amiamo tutte le forme d’arte. Sono interessato sia alle arti visuali che alla musica, proprio lo scorso ottobre ho realizzato la copertina per un’edizione limitata dell’ultimo album dei Rolling Stones (‘Hackney Diamonds’, ndr.) di sole 2mila copie che sono andate sold out in poche ore. Vestiamo gli Stones così come band emergenti. Da creativo consiglio sempre di vedere e guardare. Alcuni vedono ma non guardano ed è invece importante utilizzare lo sguardo come fonte di ispirazione. I giovani designer devono sapere cosa fanno gli altri brand, tenersi aggiornati sulle tendenze ma libri, film, mostre, musica sono fonti di ispirazione essenziali.
Cosa pensa della scena stilistica londinese di oggi? Quali nomi la incuriosiscono?
Londra è una miniera d’oro per i giovani talenti ma oggi per qualsiasi business, non solo quelli emergenti, il primo scopo è sopravvivere vista la mole di competitor. Ci sono così tanti brand provenienti da tutto il mondo, è molto difficile sceglierne solo alcuni ma apprezzo molto una giovane stilista che è stata anche guest di Pitti Uomo qualche anno fa, Grace Wales Bonner, è molto talentuosa.
Ci sono colleghi che stima particolarmente?
Sicuramente Dries Van Noten, Isabel Marant e Massimo Alba, ci sono tanti ottimi designer.
L’intervista è presente sul numero di Pambianco Magazine di giugno/luglio in uscita oggi.