Durante l’incontro di fine maggio con la stampa italiana, il presidente di Smi, Sergio Tamborini ha timidamente teso la mano a Confindustria Moda lasciando intendere la possibilità di ricucire lo strappo che ha portato, all’inizio dell’anno, all’esodo delle diverse sigle (Smi, Federorafi e Anfao) dall’ente confindustriale. “Credo che mettere sotto un unico ombrello tutto il settore sia un’opportunità che ancora è sul tavolo, se ne può discutere. Però con delle regole chiare”, ha dichiarato Tamborini.
Sulla carta, è un segnale positivo che lascia ben sperare nel futuro. Nonostante le buone intenzioni di fondo, però, per fare davvero sistema serve un cambiamento sostanziale di visione. Confindustria Moda era nata ai tempi del governo Renzi e sotto la volontà – e la spinta – dell’allora ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Erano gli anni del primo tavolo della moda e della sensazione che fosse arrivato il momento giusto per seguire le orme di quanto già facevano altre nazioni in Europa per la moda, come la Francia. Così Confindustria Moda era nata con l’intenzione di far vedere che anche in Italia era possibile fare squadra. Aggregarsi significa avere maggiore peso decisionale sia di fronte all’esecutivo sia all’estero, ovvero in quella Europa che troppo spesso ha messo paletti di fronte a misure che avrebbero, di fatto, sostenuto anche il tessile moda italiano. Ma, l’unione non può essere una pura operazione di marketing e il castello si è sbriciolato proprio quando le istanze sono diventate più stringenti.
Senza additare né prendere le parti di alcuna associazione di categoria, è un segnale ben preciso. È chiaro che oggi sia più che mai necessario un cambio di rotta radicale e definitivo, un mutamento di prospettiva, andando oltre i tradizionali campanilismi. L’Italia ha una filiera della moda unica nel suo genere perché mantiene una produzione italiana in tutti i suoi passaggi, da monte a valle, ed è un patrimonio da preservare. Ma è una filiera che sta rivelando la sua fragilità. Le richieste di cassa integrazione sono aumentate del 194% a febbraio 2024 anno su anno nell’ambito della pelle e del 73% nel comparto del tessile-abbigliamento. La situazione di incertezza internazionale sta minando i consumi in tutto il mondo e, di conseguenza, calano gli ordini delle aziende internazionali verso i terzisti. Ecco perché, in questo scenario, è chiaro come non si possa attendere altro tempo. È bene superare le divisioni ma per farlo, serve superare una volta per tutte certe vecchie concezioni.