Con il via libera del Parlamento europeo al testo della CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), la nuova direttiva sul dovere di diligenza che impone alle aziende di ridurre il loro impatto negativo su ambiente e diritti umani, entra nel vivo l’impegno comunitario per la sostenibilità e la responsabilità sociale. Una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue, le nuove norme entreranno in vigore dopo 20 giorni e gli Stati membri avranno due anni per recepire le nuove norme nel diritto nazionale. Tema chiave per uno sviluppo responsabile è la trasparenza della filiera, come spiega in questa intervista Francesca Rulli, co-founder di YHub e ideatrice del sistema 4sustainability®.
Cosa cambia nel concreto, per il settore della moda, con l’entrata in vigore della direttiva europea sulla due diligence?
Insieme a molte altre norme in emanazione da parte dell’Unione europea, la CSDDD introduce chiaramente la responsabilità di monitorare i rischi e gli impatti sociali e ambientali delle filiere di produzione. Questo principio vale per tutte le imprese di vari settori (incluso il fashion & luxury) che esternalizzano – in parte o totalmente – la produzione. Il testo chiede di mappare le filiere di produzione, valutare i loro rischi ambientali e sociali, costruire un sistema di monitoraggio efficace integrandolo nelle policy e procedure dell’organizzazione e costruire un sistema di reportistica per la trasparenza e la definizione delle azioni di miglioramento.
Fino a questo momento, le aziende potevano disinteressarsi dei rischi e degli impatti sociali e ambientali dei loro fornitori e subfornitori, perché ricadevano al di fuori del loro perimetro organizzativo. Nel momento in cui ne diventano responsabili, devono invece rendicontare come si assumono tale responsabilità, come valutano i rischi e come li mitigano, introducendo nei propri sistemi di reporting anche dati riferiti a questo sistema di valutazione e monitoraggio.
Perché alcune associazioni industriali temono questa direttiva?
Da quando la sostenibilità è diventata un driver strategico volontario, il mercato si è diviso in due. Una parte ha deciso di convertire in chiave sostenibile i propri modelli di business e di produzione, costruendo metodologie, best practice, iniziative e coalizioni per affrontare i temi ambientali e sociali. Questo vale per la moda così come per altri settori. Una buona parte del mercato, però, è rimasta ancorata a modelli di business tradizionali, che non considerano le variabili ambientali e sociali; oppure le considerano solo per il proprio perimetro organizzativo, senza includere il modello produttivo.
Le imprese della filiera italiana sarebbero avvantaggiate o svantaggiate dalla CSDDD?
La filiera italiana sarà sicuramente avvantaggiata perché mantiene sotto controllo da anni i rischi e gli impatti ambientali e sociali. Le nostre imprese, inoltre, si sono impegnate in varie azioni di miglioramento continuo per accrescere le proprie performance di sostenibilità, proprio per andare incontro a quei marchi virtuosi che hanno integrato queste logiche nelle proprie strategie di produzione da anni volontariamente.
Certo, c’è anche una parte della filiera italiana che deve innovare e strutturarsi per affrontare queste tematiche – e, spesso, la dimensione della piccola-media impresa non aiuta. Ma, proprio per questo, negli ultimi anni in Italia sono nate aggregazioni societarie, collaborative, consortili… Insomma, le piccole realtà hanno trovato diverse formule per raggiungere collettivamente la dimensione minima che permette di reggere gli investimenti e l’apprendimento comune.
Ciò che vediamo con 4sustainability è una crescita sensibile della maturità delle imprese, delle performance ambientali e sociali e dei modelli produttivi, capaci in tanti casi di raggiungere l’eccellenza. Eccellenza sia in termini di qualità (che è pur sempre un elemento centrale per la sostenibilità, perché la qualità dura nel tempo), sia dal punto di vista della riduzione dell’impatto ambientale (chimica sostenibile, acqua, energia, emissioni) e sociale (persone, sicurezza, tracciabilità).
Oggi, sono oltre 1.600 le aziende italiane che misurano le proprie performance in Ympact per avviare percorsi di miglioramento e, di queste, oltre 250 hanno anche ottenuto la validazione 4sustainability. Ciò significa che sono state sottoposte a verifiche on site (nel sito di produzione) su quelle performance ambientali e sociali che la CSDDD chiede di monitorare e che hanno piani di azione e miglioramento in corso per ridurre i propri impatti e quelli delle loro filiere sui temi-chiave per la moda.
Nel concreto, come fanno le imprese della filiera a fornire le garanzie richieste dai brand?
Ogni azienda della filiera, a seconda del tipo di produzione che realizza (filato, tessuto, pelle, accessorio, capo finito, borsa, scarpa, tintoria, lavaggio, stamperia ecc.) effettua un assesment ambientale e sociale sulla propria organizzazione. In sostanza, è un’analisi dei suoi punti di forza e di debolezza in riferimento ai 6 temi centrali applicabili al settore, quelli che noi con 4sustainability (4s) abbiamo codificato come 4s People, 4s Trace, 4s Materials, 4s Planet, 4s Chem, 4s Cycle anche rifacendoci alle priorità della Global Fashion Agenda e alle strategie dei più importanti Brand che hanno fatto da trend setter.
Sulla base di quanto emerso, l’azienda intraprende progetti di miglioramento su una o più dimensioni della valutazione iniziale, per arrivare ad avere indicatori di misurazione affidabili e verificati sul maggior numero di dimensioni che possano costituire rischio ambientale e sociale.
C’è chi sta già lavorando in questa direzione? Se sì, possiamo fare qualche esempio?
Con 4sustainability abbiamo iniziato più di dieci anni fa – per la precisione, nel 2013 il lancio dell’iniziativa e dal 2014 l’avvio delle attività a fianco delle aziende – con un obiettivo preciso: ridurre gli impatti ambientali e sociali del fashion & luxury. Abbiamo lavorato con le imprese della filiera tessile, poi della pelle e oggi anche degli accessori, per coprire tutti i segmenti di produzione moda, strutturando una roadmap che le aiutasse innanzitutto a ridurre l’impatto delle proprie fabbriche e dei propri processi, misurando via via gli avanzamenti con indicatori strutturati e chiari, per dare evidenza al mercato della riduzione. Il nostro approccio è olistico: non basta intervenire su un singolo prodotto o su una singola dimensione della sostenibilità. Per questo, il framework di 4sustainability si declina nei sei pillar. Nel tempo, quando i numeri e i dati da gestire sono cresciuti, si è reso necessario un passaggio al digitale che abbiamo scelto di intraprendere grazie alla partnership tecnologica e poi societaria con The ID Factory, società di Information Technology specializzata in soluzioni digitali per la tracciabilità di prodotto moda. È grazie a questa partnership che abbiamo sviluppato la piattaforma Ympact, sviluppata per consentire l’applicazione su larga scala del framework 4sustainability. Oggi, grazie all’uso della tecnologia, il modello che abbiamo strutturato è applicato a migliaia di aziende del sistema moda e lusso.
Proprio dalla visione chiara di costruire il primo eco-sistema collaborativo italiano per accompagnare i brand e le imprese della filiera moda – dalla più piccola alla più grande – nella realizzazione di sistemi produttivi tracciati e sostenibili, è nata YHub, la holding che integra le 3 soluzioni fondamentali per accompagnare il settore nella transizione: il supporto e formazione attraverso il modello 4sustainability; la piattaforma Ympact per raccolta dati d’impatto ambientale sociale, nella loro verifica, validazione e condivisione tra i diversi stakeholder del settore e la piattaforma The ID Factory per la tracciabilità di prodotto e la realizzazione di Digital Product Passport.
L’Unione europea sta lavorando su tante normative legate alla sostenibilità, per esempio sui green claim, sulla deforestazione, sull’ecodesign. Queste normative sono in qualche modo legate alla CSDDD?
Assolutamente sì, il corpo normativo è tutto collegato. La strategia Ue vuole posizionare il nostro Continente come pioniere nella riduzione di impatto ambientale e sociale, con l’obiettivo della neutralità climatica al 2050. In questa logica, le istituzioni hanno individuato una serie di settori a maggior impatto a cui dare la priorità, tra cui la moda. L’idea è quella di ripensare le logiche di sviluppo del prodotto, basandosi sull’ecodesign e sulle filiere tracciate e responsabili. Il consumatore finale disporrà di un Digital Product Passport con tutte le informazioni necessarie per acquisti più consapevoli. L’obiettivo finale è quello di mettere in commercio prodotti con attributi positivi di sostenibilità verificati, realizzati da filiere responsabili e il più possibile circolari, cioè votati al recupero e al riciclo delle risorse. In quest’ottica, la norma sulla responsabilità estesa del produttore (Extended producer responsibility, EPR), il regolamento anti deforestazione (European deforestation-free products regulation, EUDR) e le altre leggi in fase di discussione (microplastiche, sostanze chimiche, ecc.) sono tutte collegate alla CSDDD, perché tutte puntano alla valutazione e riduzione di impatto dei processi che si realizzano in filiera fino ad arrivare alla materia prima, spingendo inoltre verso la crescita della circolarità per ottenere nuove materie prime da processi virtuosi. Tracciabilità di prodotto, misurazione di impatto di filiera e scelta di materiali sostenibili o riciclati sono il nostro futuro. Il corpo normativo è tutto orientato in questa direzione, attraverso più norme che sono tutte coerenti tra loro e che indirizzano l’intero settore.