Il calzaturiero frena la sua corsa. Dopo essere tornato a superare, nello scorso anno, i valori del pre-pandemia, con un fatturato di quasi 14,5 miliardi di euro e un incremento del 14%, il comparto calzaturiero italiano ha chiuso il 2023 a quota 14,6 miliardi, in debole crescita sul 2022 (+0,9%) e sostenuto dall’export, che si attesta a 12,8 miliardi (+1,1% a valore). I dati, presentati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici in occasione della 97esima edizione di Micam, sottolineano già forti preoccupazioni per l’avvio del 2024, previsto in ulteriore frenata almeno nel primo semestre alla luce di uno scenario geopolitico complesso.
“Dobbiamo essere un pò resilienti – dichiara Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici e Micam, a Pambianconews -. Abbiamo chiuso il 2023 a ribasso come produzione e, soprattutto per i brand e per le piccole aziende, stiamo ora studiando come affrontare importanti problemi di natura geopolitica, come il blocco o il ritardo delle merci nel canale di Suez, l’aumento delle materie prime e gli aumenti degli interessi da parte delle banche. Abbiamo molte problematiche da affrontare, ma sono sicura che supereremo anche queste difficoltà e che il 2025 partirà molto bene, con una riapertura del mercato anche verso la fine di quest’anno”.
“Per questa edizione di Micam – aggiunge Ceolini – abbiamo calcolato un’affluenza di 35mila visitatori provenienti da 150 Paesi diversi. Grazie a Ice abbiamo più di 100 buyer in incoming. Da dopo il Covid l’affluenza è salita del 4%, e questo vuol dire che lo scambio, toccare con mano la merce, vedere e provare il prodotto, è ancora fondamentale”.
In merito all’export, nei primi dieci mesi del 2023, tra i mercati esteri, si è confermata al primo posto la Francia (+17,3% in valore e +1,1% in quantità su gennaio-ottobre 2022), le cui cifre comprendono anche i flussi di rientro delle produzioni effettuate in Italia dalle multinazionali francesi del lusso e in contesto – sottolinea Ceolini – “dove a soffrire maggiormente è proprio l’Europa, con mercati come Cina, Korea e Giappone in espansione”. I flussi diretti dall’Italia verso il Far East sono infatti cresciuti del +15,6% in valore e del +7,4% in quantità (con Cina +12,4% in valore, Hong Kong +16,5%, Giappone +18,7% e Sud Corea +2,8 per cento). Quest’area si conferma inoltre quella con i prezzi medi più elevati, proprio per il ruolo determinante giocato dalle griffe.
In forte calo la Svizzera, tradizionale hub logistico delle griffe, che segna un -24,6% in valore e -33,3% in paia, interessata verosimilmente da un cambio nelle strategie distributive. Alla Svizzera segue anche l’arresto, nella seconda parte dell’anno, registrando flessioni del -20% circa nelle paia, di Usa e Germania. Valori in salita invece quelli di Emirati Arabi (+30% in valore e +8,9% in paia), Russia (+36,8% in valore) e Ucraina (+79%), che hanno sperimentato, dopo il crollo del 2022 causato dall’inizio del conflitto, un sensibile rimbalzo, pur restando tuttora sotto i livelli 2021 pre-guerra.
A livello merceologico, le scarpe da donna mostrano rispetto al 2022 i trend meno penalizzanti (-2,3% le paia e -0,9% la spesa), con segni positivi in alcune voci (calzature classiche da passeggio, mocassini, stivali e stivaletti), mentre le sneakers, ancora in moderata flessione sul 2022 (-0,9% in spesa), sono le sole ad aver superato i numeri pre-pandemia. La dinamica recessiva della domanda in termini di quantità, sia sul fronte interno che sui mercati internazionali, ha fortemente penalizzato la produzione nazionale, scesa nel 2023 a poco meno di 148 milioni di paia: ha perso quanto aveva ripreso nel 2022 ed è tornata ai volumi del 2021 (decisamente lontana dai 179 milioni realizzati nel 2019).
“Il 2023 è iniziato con uno sprint importante, nonostante le conseguenze del post-pandemia e le crisi geopolitiche, mentre la seconda parte dell’anno è stata segnata da un andamento altalenante a dimostrazione del fatto che gli schemi non sono più quelli a cui eravamo abituati – commenta Matteo Zoppas, presidente di Ice, in una nota -. Rispetto al 2019, quando le esportazioni avevano registrato 480 miliardi, siamo cresciuti del 30% e non solo a causa dell’inflazione.
“Il successo – conclude Zoppas – e la tenuta dell’export è sicuramente stato possibile grazie alla resilienza e alla competitività delle aziende italiane che possono contare sul sostegno e sulle azioni di coordinamento portate avanti dal governo Meloni che ha messo al centro gli interessi economici, soprattutto all’estero, attraverso la diplomazia della crescita portata avanti dal Maeci e le misure messe in campo dal Ministro Urso per spingere e aumentare la competitività del made in Italy sui mercati internazionali”.