I numeri parlano chiaro, il ritorno del formale maschile è ormai un fenomeno acclarato. Dopo molte stagioni ad appannaggio di felpe e sneakers, i capi della tradizione sartoriale sono in netta rimonta anche sul fronte delle vendite. La fotografia del trend arriva dai dati Sita Ricerca nell’Osservatorio di Confindustria Moda. Secondo l’istituto di ricerca, nel quadro di ripresa successivo al periodo di emergenza sanitaria le variazioni del sell-out di moda maschile dell’anno 2022 rispetto al 2021 segnano +18% per l’abbigliamento classico contro un +8,5% del casualwear. La camiceria progredisce del 9%, le giacche avanzano del 17%, l’abito supera addirittura il 20% e la cravatta, data quasi per spacciata, cresce del 19,6 per cento. Sebbene si tratti di valori ancora al di sotto di quelli del 2019, era pre-Covid, il segmento uomo corre più veloce rispetto al +8,2% del totale tessile-abbigliamento grazie proprio al mondo formale.
La lettura del fenomeno è legata a doppio filo al ‘ritorno alla normalità’. La lontananza dai luoghi di lavoro e il rallentamento della routine durante il lockdown hanno certamente influito sulla voglia di comfort a discapito del tradizionale ‘abito da ufficio’ ma, complice appunto il ritorno alla normalità, si è stabilito un nuovo equilibrio tra formale e leisurewear. “Si può affermare a chiare lettere che ‘formal is the new casual’”, dichiara Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. “Anche tra le nuove generazioni si sta affermando il concetto di ‘smartorial’, riassunto bene da questo binomio tra eleganza e comfort. I capi formali tornano fortemente ma rivisitati in chiave moderna, fresca, contemporanea, si manifesta una vestibilità più rilassata, oversize, come piace ai ragazzi. Credo non si tratti di un semplice momento, la tendenza sarà duratura perché la risposta della moda maschile è più lenta, non è veloce come quella femminile”. In questo panorama il made in Italy è di gran lunga favorito: “Il formale è nostro e lo sappiamo raccontare, nelle nostre aziende c’è sicuramente una capacità di scegliere materiali di un certo tipo, abbinarli, rinnovarli. Oggi il classico non è più una scelta sicura come un tempo anzi è sfidante perché rappresenta una scommessa di stile, ruota intorno a un gioco di accostamenti, pesi, dettagli e cromie”, spiega il manager.
Francesco Lubrano, fondatore e vicepresidente di Camera Showroom Milano nonché proprietario dello showroom Panorama Moda, riflette sul cambiamento da parte di alcuni marchi specializzati nel formale: “Molte aziende durante il Covid hanno realizzato una brand extension introducendo prodotti leisurewear come felpe e tute. Questa selezione di capi esiste ancora ma è stata notevolmente ridotta perché il core business è tornato. In Giappone la richiesta di abiti classici non si è mai fermata e negli Stati Uniti il segmento sta correndo, è un fenomeno internazionale”.
Dallo scorso anno, il desiderio generale è stato quello di tornare alla normalità del pre-pandemia, da una parte abbandonando le tute e l’abbigliamento ‘comodo’ e dall’altra ricominciando ad uscire la sera, riempiendo così i momenti di aggregazione e vita quotidiana che a lungo avevamo messo in pausa. “Nonostante anche prima del Covid ci sia stato un calo dell’abbigliamento formale, durante la pandemia questa decrescita è continuata in modo esponenziale”, racconta a Pambianconews Antonio De Matteis, AD di Kiton e presidente di Pitti Immagine. “Ora sicuramente possiamo dire che il formale è un fenomeno in crescita, così come in parallelo non è in calo lo sportswear, ma sono ‘i momenti d’occasione’ che cambiano le necessità dei clienti. Il formale torna in auge perché è tornata l’occasione giusta per indossarlo e non c’è più quella percezione che stesse diventando vecchio o un fenomeno appartenente al passato. Ad oggi, dopo due anni dove siamo stati tutti chiusi in casa, l’uomo se ha un meeting importante preferisce certamente indossare un abito, magari anche con la cravatta”. Nel caso di Kiton infatti – come precisato da De Matteis – “il sorpasso sul pre-Covid lo si era già raggiunto nel 2021”. Lo scorso anno il luxury brand ha proseguito il trend positivo, riportando un fatturato superiore ai 160 milioni di euro, in crescita del 25% a cambi correnti rispetto al 2021. Nel 2019 invece, tenendo un confronto sul periodo pre-pandemico, il marchio aveva raggiunto i 135 milioni. Per l’anno corrente l’azienda punta a raggiungere un giro d’affari di 200 milioni, con l’Italia che attualmente ha un’incidenza del 15% sul fatturato.
Oltre a Kiton sono numerosi i brand specializzati nel menswear formale che raccontano di un netto recupero sul fronte della domanda del ‘classico’ seppur rivisitato. A confermare l’inversione di tendenza, con un consumatore finale desideroso di tornare a indossare giacche, camicie e soprattutto abiti, è Niccolò Ricci, AD di Stefano Ricci. “Il cambio di passo risale già a un anno fa. I nostri clienti, dopo due anni di sneaker bianche, t-shirt e jeans, hanno voglia di uscire la sera e indossare un blazer assieme magari a una camicia su misura”. Il formale ad oggi rappresenta circa il 35% del fatturato dell’azienda, che nello scorso full year ha superato i 150 milioni di fatturato, esattamente in linea con il turnover del 2019 (che fu l’anno con il fatturato più alto nella storia del brand). Per il 2023 invece l’obiettivo di crescita è fissato al +30 per cento.
A credere nello shopping via web anche per il formale è Pal Zileri, marchio che fa capo alla holding Mayhoola, di proprietà della famiglia reale del Qatar. “A seguito della crescita del canale negli anni scorsi, quest’anno abbiamo fatto un grosso investimento sull’e-commerce, che oggi rappresenta circa il 5-6% del nostro fatturato”, dichiara Leo Scordo, brand CEO. “Un lavoro – prosegue – su cui abbiamo voluto puntare ancorando e collegando le disponibilità dell’e-commerce a quelle del nostro retail di proprietà e del nostro magazzino, così che il cliente avesse a disposizione lo stesso assortimento, sia comprando sul nostro canale online che in negozio”.
“Il formale oggi è stato chiaramente rivisitato. Certo, mantenendo un ponte con il passato, per essere distinti la giacca deve essere ben fatta. Rispetto allo stile, se prima della pandemia il blazer era più stretto e corto, adesso stiamo ritornando agli anni ‘90, dove il focus principale è sulla comodità”, racconta Luigi Lardini, direttore creativo e co-founder del marchio omonimo. Nel 2022 Lardini ha chiuso l’anno con circa 70 milioni di euro di ricavi. Un risultato positivo che nel 2023 punta a raggiungere i 95 milioni, superando i 93 registrati nel 2019. Ad essere cambiata è, di conseguenza, anche la percezione che si ha di un capo formale, una volta appannaggio quasi esclusivo dei ‘business men’, oggi portavoce di un look molto meno ‘impegnato’.
Nel nuovo numero di Pambianco Magazine altri articoli e approfondimenti sugli sviluppi e i cambiamenti del menswear con riflessioni di Stefano Canali, presidente e CEO di Canali Group, Paolo Molteni, CEO della storica rete di luxury store Tessabit, Giuseppe Nugnes, imprenditore con una lunga eredità commerciale familiare nonché proprietario della maxi boutique Nugnes a Trani e Michele Franzese, proprietario dell’omonimo maxi store in via Domenico Morelli a Napoli.
(con la collaborazione di Davide Fogato)