Meglio tardi che mai. Il sistema italiano fa squadra e punta i riflettori sulla new generation di designer. Oltre ai big brand è arrivato anche il loro momento, tra applausi, difficoltà e incoraggiamenti.
In Italia qualcosa sta (finalmente) cambiando. Dopo molti anni i nostri marchi emergenti hanno raggiunto la rilevanza che meritavano. Lo confermano il numero di sfilate e presentazioni di brand fondati pochi anni fa, la presenza della stampa internazionale nelle prime file, le segnalazioni da parte dei magazine, i tag delle influencer. Il ritorno in presenza della Milano fashion week ha confermato una tendenza nata quando gli show erano condivisi solo online a causa della pandemia.
DEMOCRAZIA DIGITALE
“Le fashion week digitali – dichiara Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana – sono state un mezzo democratico per favorire le nuove generazioni di designer e brand emergenti. Ognuno ha avuto la possibilità di avere l’attenzione di stampa e buyer, quando non vi era la possibilità di muoversi e la necessità di continui spostamenti in città. Inoltre, questi talenti hanno potuto esprimere la loro creatività con un linguaggio, quello digitale, che appartiene alle nuove generazioni”. Dello stesso parare anche Sara Sozzani Maino, creative talent curator coinvolta in vari progetti di Cnmi e Vogue Italia: “Se oggi c’è più attenzione ai nuovi designer è anche perché ci sono tantissimi modi per darsi visibilità, a partire dai social network, c’è un modo di esprimersi molto più ampio anche solo rispetto a cinque anni fa. La pandemia ha accelerato le potenzialità del digitale”.
La new wave italiana è salita alla ribalta grazie anche alle istituzioni che da alcune stagioni hanno ampliato i fondi e i progetti destinati ai nuovi nomi. “Oggi i giovani designer si trovano a dover affrontare numerose sfide – asserisce Capasa -. Senza dubbio una delle difficoltà maggiori è quella di crescere in un mercato globale. Sono necessari fondi ed investimenti. Cnmi supporta i giovani garantendo loro visibilità e possibilità di networking, attraverso numerosi progetti tra cui il Fashion Hub e i Milano Moda Graduate. Molto importante in questo senso il Camera Moda Fashion Trust, che offre ai designer il supporto economico grazie al Grant annuale e anche un percorso di mentoring focalizzato su diverse aree tematiche tra finanza, comunicazione, business e distribuzione”.
SI PUÒ DARE DI PIÙ
Una delle difficoltà principali per i nuovi stilisti riguarda proprio il bisogno di accostare alle capacità creative quelle manageriali, frequentemente amministrate dagli stessi designer. “La maggior parte dei giovani gestisce sia l’ufficio stile che la sfera commerciale ed è un problema. Devono crescere a piccoli passi e delegare alcuni aspetti a chi è in grado di tessere le relazioni con il mondo esterno”, dichiara Francesca Romana Secca, designers relation manager di Altaroma e responsabile del progetto Showcase. Gabriele Colangelo, Giannico, Arthur Arbesser, Act N°1, Andrea Incontri, Marco De Vincenzo, Hibourama; sono solo alcuni dei tanti nomi transitati da Altaroma prima di riscuotere il successo internazionale. “Li seguiamo anche dopo le esperienze con noi, monitoriamo la presenza nei calendari di Milano, di Firenze o di Parigi ed è un motivo di vanto se entrano in fashion week più accreditate”, spiega Secca. Oltre al supporto delle istituzioni cosa potrebbe aiutare i giovani? “All’inizio c’è un gap per i ragazzi che escono dalle accademie e devono entrare nel mondo del lavoro. Dovrebbe esserci un po’ più di attenzione. Sono preparati ma non riescono ad accedere alle aziende, bisogna migliorare la fase di collocamento”, risponde la designers relation manager di Altaroma. “I designer italiani hanno quasi più attenzione all’estero che in Italia. La nostra stampa spesso presta attenzione a qualcuno solo dopo che è stato riconosciuto all’estero, pochi supportano uno sconosciuto, come se dovesse necessariamente prima affermarsi altrove. È un difetto italiano. Inoltre, facciamo fatica a raccontarci: i ragazzi non riescono ancora a trovare il così detto ‘storytelling’ che è stato abusato senza rimandare a un vero significato”, riflette Sozzani Maino. La curator ricorda anche le iniziative messe in atto dalle aziende. Ad esempio il progetto di consulenza voluto da Alessandro Dell’Acqua e Tomorrow Ltd, il supporto di maison Valentino attraverso il proprio account Instagram e anche, andando indietro nel tempo, lo spazio retail Spiga2 di Dolce & Gabbana e l’opportunità data da Giorgio Armani a diversi designer di sfilate gratuitamente nel suo Teatro. Progetti lodevoli ma non continuativi.
CONSIGLI PER GLI STILISTI
Non esiste una ricetta per emergere ma è possibile partire da alcuni assunti essenziali: “Il talento – afferma Secca – è la prima variabile per avere successo, ma occorre avere anche visione, coerenza nel presentare le collezioni, mantenere sempre un’immagine ben definita. Serve una capacità imprenditoriale a tutto tondo che inglobi collaboratori, press office, management; è importante conoscere il mercato e il proprio target, cercare di mantenersi sempre allineati con le tendenze senza però snaturarsi”. La scena creativa italiana sta cambiando ma, parallelamente, tutto il sistema vive una fase molto diversa rispetto alla nascita del made in Italy: “L’approccio dei nuovi brand di successo come Jacquemus o Off-White è diverso. Nascono e si affermano ma diversamente dal passato perché nel frattempo è cambiato il mercato, a partire dalla comunicazione e dalla distribuzione. Non credo ci saranno più colossi così rilevanti a livello economico. I big brand sono sempre gli stessi oppure ritornano griffe dormienti che vengono rilanciate. L’evoluzione della nuova generazione non riguarda solo i designer ma anche gli stylist che, essendo giovani, conoscono anche marchi meno conosciuti dando loro visibilità”.