Se un tempo la comunicazione dei marchi poggiava su tempi più lunghi e su una catena di controllo maggiore, oggi la velocità e il contesto globale contribuiscono a spiegare la molteplicità di errori. Tre esperti spiegano cosa fare nel caso ci si imbatta in queste situazioni.
Al ‘grido’ virtuale di ‘#BurnBalenciaga No mercy for pedos’, utenti di tutto il mondo hanno pubblicato su TikTok video dove volontariamente tagliavano o davano fuoco borse o scarpe del marchio più hot del momento. È la prova di cosa significa incappare in madornali errori nella comunicazione, come nel caso della blasonata etichetta disegnata da Demna, al centro delle polemiche, soprattutto sui social media, per la campagna natalizia contestata per la presenza di oggetti legati al mondo del bondage vicino ad alcuni bambini (vedere articolo precedente). Il caso Balenciaga non solo riapre il dibattito sulla cancel culture, ma conferma anche come nell’era dei social la comunicazione rischi di rappresentare un terreno minato per i brand del fashion. Perché le ricadute possono essere davvero dannose, in termini economici e non solo.
IL PESO DEI SOCIAL
La lista di ‘scivoloni’ comunicativi in cui sono incappate importanti griffe di moda è ormai lunga. Basti pensare alla campagna di Gucci negli Stati Uniti, tacciata per i rimandi al blackface o agli sfortunati video di Dolce & Gabbana che hanno letteralmente fatto insorgere il popolo cinese contro la maison. Eppure queste aziende hanno alle spalle team comunicativo di certo non alle prime armi. Cosa è cambiato rispetto al passato? Secondo Francesco Oggiano, autore della newsletter Digital Journalism oltre che del libro ‘SociAbility’, il nodo principale è il cambiamento dell’universo dei social, diventati ormai il principale canale di riferimento per tutto il mondo. “Prima – spiega Oggiano – la comunicazione di un brand fashion era molto ambiziosa, ma si poggiava, per così dire, su media più lenti. Con il predominio dei social si sono innescati due cambiamenti. Prima di tutto, i tempi: la commistione tra alto e basso può innescare una polemica in grado di fare il giro del mondo in appena un’ora, con la conseguenza che il brand rischia di ‘bruciarsi’ in tempi rapidissimi”. L’altro aspetto da tenere conto è legato alla penetrazione dei social. “Il pubblico è ormai ampio e globale tutti gli effetti: una dichiarazione o un’immagine presa in un contesto può essere veicolata nelle altre piattaforme social e finire sotto i riflettori di un altro tipo di pubblico, che normalmente non segue quel settore ed è quindi meno ‘preparato’. Nel caso di Balenciaga, per esempio, non tutti conoscevano la storia del marchio e le campagne precedenti, quindi gli utenti si trovano davanti un estratto da Twitter che risulta difficile da contestualizzare. In casi come questo è fondamentale pensare che ogni campagna e ogni messaggio pensato pensato per un media finirà anche su altri social e chiedersi quindi: questo messaggio potrebbe creare uno shitstorm sui social media?”.
DA COMUNICAZIONE A CONVERSAZIONE
Lo strapotere dei social media che ha rivoluzionato la vita quotidiana delle persone in tutto il globo, ha ovviamente modificato inevitabilmente le dinamiche comunicative dello stesso fashion system. “Il caso Balenciaga ha fatto emergere una verità: si è passati dal binomio ‘brand che comunica’ a brand che ‘conversa’ con i consumatori. Quindi, è avvenuto un passaggio da comunicazione a conversazione”, spiega a Pambianco Magazine Andrea Scotti Calderini, CEO & Co Founder di Freeda, nome di punta nel settore delle digital media company. “Nel caso di una campagna ‘tradizionale’ i tempi sono molto dilatati perché i livelli di approvazione interna sono numerosi. Oggi i brand di moda puntano invece ad instaurare una conversazione con gli utenti. Qui i contenuti pubblicati e veicolati sono quotidiani, il che significa che ci sono maggiori possibilità che capiti l’incidente mediatico”.
Nell’affaire Balenciaga a fare da esca è stata l’esposizione mediatica del marchio verso le cause umanitarie. “È un brand molto attento ai diritti umani, basti pensare alla sensibilità verso l’Ucraina ma anche alle campagne a sostegno della diversità e dell’inclusività. A volte, tuttavia, nello spingere sempre l’elemento creativo oltre i limiti e confini si può ‘incappare’ nell’errore. Questo, però, non deve mettere in discussione il posizionamento di brand e il team di lavoro, anche se, è noto, spesso accade il contrario, basti pensare per caso a Dolce & Gabbana e Yeezy. Il motivo è che i social media rappresentano il primo canale di influenza di acquisto e spostano quindi in modo significativo la reputazione del brand”.
Sebbene non sia possibile quantificare il danno economico di situazioni come queste, i contraccolpi sono comunque molto complessi. “Lo scivolone Balenciaga rappresenta un boomerang a livello di comunicazione anche sul fronte del rapporto con gli influencer – spiega Karim De Martino, SVP Business Development Europe di Open Influence, agenzia specializzata in influencer marketing. “Non solo i rapporti a pagamento in genere diventano off limits, ma il danno si estende anche alle relazioni organiche con gli influencer. Ci vorranno mesi a dimenticare questa cosa perché situazioni analoghe distruggono il 70-80% della comunicazione e della reputazione del brand”. Di fronte allo scivolone mediatico, quali sono le prime mosse da fare? “Bisogna fare attenzione perché qualsiasi cosa può essere usata contro di te. – aggiunge De Martino – basti pensare alla polemica di Elisabetta Franchi sulle donne e lavoro. La sua risposta attirò ancora più critiche. Meglio chiedere scusa e mettere via”. Per Andrea Scotti Calderini l’importante è la rapidità nella reazione perché questi canali vivono di velocità. “Inoltre, bisogna essere autentici, trasparenti e sinceri nell’ammettere l’errore. Meglio se si sceglie di farlo con un video nel quale il manager o il direttore creativo spiega l’accaduto e si scusa. E poi presentare un ‘action plan’ di come il brand e il suo team pensano di riparare all’errore”.