Ormai è indubbio, il boom dell’athleisure non è un fuoco di paglia. Il mercato dell’abbigliamento sportivo corre senza mostrare segni di cedimento, e si stima crescerà del 25,1% nei prossimi tre anni, arrivando a raggiungere un giro d’affari di 551 miliardi di dollari (circa 500 milioni di euro) nel 2025.
A decretarlo è la società di consulenza GlobalData, il cui ultimo studio restituisce l’immagine di un settore florido e in rapida ascesa. Nel 2025 il peso della moda sportiva dovrebbe raggiungere il 23,6% del mercato globale secondo gli analisti del gruppo, che sottolineano l’importanza cruciale delle nuove abitudini di vita e consumo post-pandemia.
Su tutte lo smart working, che ha radicalmente trasformato l’approccio al fashion dei consumatori. “Il lavoro ibrido – ha sottolineato Louise Deglise-Favre di GlobalData – rimarrà parte della routine delle persone, che continueranno a vestirsi in maniera casual quando non andranno in ufficio”.
Il new normal, insomma, sarebbe destinato a durare, continuando a premiare uno dei segmento riemersi quasi indenni dalla crisi innescata dal Covid. La previsione di GlobalData conferma e supera ottimisticamente anche quella precedentemente pubblicata da McKinsey, che stimava per il segmento il raggiungimento nei prossimi tre anni della soglia dei 400 miliardi di dollari.
La premessa è comunque la medesima: lo spostamento delle preferenze dei consumatori verso la moda informale ha contribuito largamente al boom dell’abbigliamento sportivo, e non sarà tanto facilmente reversibile. Secondo GlobalData, sulla base di un nutrito campione preso in esame tra gennaio e marzo 2022 per condurre il report, due persone su cinque in tutto il mondo sono ancora in modalità smart working.
Modalità di lavoro che certamente contribuisce a rendere sempre più marginali le occasioni in cui sia richiesto uno stile più formale. In ogni caso, anche coloro che sono tornati per lo più alle loro postazioni fisiche negli uffici tendono ormai a scegliere “modelli meno formali”, preferendo soluzioni multifunzionali che possano essere indossate trasversalmente sia da remoto che in presenza.
Il formal wear, dal canto suo, è risultato il grande sconfitto della pandemia, e persino le aziende che tradizionalmente ne avevano fatto il proprio core business sono state costrette a scendere a compromessi con il casual.
E l’Italia non fa eccezione all’interno del panorama globale, come testimoniavano i dati di Assosport raccolti su un cluster di 120 aziende tricolori. Secondo l’associazione, per i produttori di abbigliamento, calzature e attrezzature sportive il 2021 si prospetta in crescita dell’8,4% sul 2020 con un fatturato aggregato pari a 12,2 miliardi di euro. Attesa una crescita anche per il 2022 (+5,6%), con il valore totale dell’industria sportiva che toccherebbe quota 12,9 miliardi di euro (+2% rispetto all’epoca pre-Covid).
A testimoniare il trend positivo del settore, le performance finanziarie dei big dello sport. Il colosso statunitense Nike ha chiuso il suo ultimo trimestre, battendo anche le attese di Wall Street, con ricavi da 10,9 miliardi di dollari (circa 9,9 miliardi di euro), in crescita del 5%. Risultato che ha fatto balzare in avanti il suo titolo a +4,4% nel trading after hours.
Anche il numero due mondiale dello sportswear, Adidas, ha segnato un più nei risultati dell’ultimo fiscal year, chiuso a 23 miliardi di dollari. In crescita anche Under Armour, che nel suo terzo quarter ha registrato un incremento dei ricavi dell’8% a 1,5 miliardi di dollari (circa 1,3 miliardi di euro) rispetto all’anno precedente.
A incrinare il rendimento dei protagonisti dell’universo sportivo, nonostante il fortunato momentum, sono però le ombre dello scenario globale, dalla crisi della supply chian all’inflazione, fino al rallentamento in Cina e alla guerra Russia-Ucraina.