Tumulti in casa Louis Vuitton. “Métier formidable, salaire misérable”, si legge in striscioni e cartelli impugnati dai lavoratori della maison ammiraglia di Lvmh, in sciopero presso cinque dei suoi 18 stabilimenti in tutta la Francia. Si tratta di un evento di portata eccezionale per la casa di moda specializzata in pelletteria luxury, che ormai da anni non si trovava ad affrontare questioni sindacali con i propri dipendenti, i quali rivendicano un salario più adeguato e reclamano contro la nuova riorganizzazione dell’orario di lavoro, attualmente discussa dal management.
Secondo i sindacati il sistema prevedrebbe una problematica annualizzazione dell’orario di lavoro, con conseguenti limiti al ricorso allo straordinario settimanale, in periodi dell’anno in cui si concentrano di solito i picchi di produzione, e alla scelta del periodo di ferie. E poi preme il tema della retribuzione: un dipendente Louis Vuitton con quindici anni di anzianità riceve una paga oraria di soli 14 euro.
Con queste premesse, le organizzazioni sindacali Cgt e Cfdt hanno invitato qualche giorno fa il team produttivo della fashion house a scioperare. A incrociare le braccia sono stati i lavoratori delle fabbriche di Asnières (Hauts-de-Seine), Saint-Donat (Drôme), Sarras (Ardèche ), Condé (Indre) e Issoudun (Indre). Non è l’unica protesta recente nella galassia Lvmh: lo scorso settembre erano stati i dipendenti dello champagne Moët et Chandon a scendere in piazza per chiedere all’azienda il pagamento del cosiddetto ‘bonus Macron’, seguiti solo poche settimane dopo dai colleghi dell’insegna di beauty Sephora.
In risposta, Louis Vuitton ha dichiarato alla testata nazionale Le Monde di aver proposto agli scioperanti un aumento medio di 150 euro al mese, parallelamente a una riduzione dell’orario di lavoro da 35 a 33 ore settimanali e dicendosi aperta a migliorare il work-life-balance dei dipendenti. Alla Cgt, però, non basta: la confederazione chiede che la rivalutazione arrivi a 350 euro mensili, con l’aggiunta di alcuni bonus.
Si tratta di un’istanza che appare più che affrontabile agli occhi dei lavoratori, se si pensa che il marchio leader del colosso luxury ha appena chiuso un anno d’oro, con ricavi da 64,2 miliardi di euro. Un aumento del 44% rispetto all’esercizio precedente e in crescita del 20% sullo stesso periodo del 2019, con profitti in corsa a +156% su base annua.
Intanto, la fashion house si consolida all’interno del trend dei rincari. Dopo le borse Chanel, saranno gli accessori dell’iconico monogram a vedere ancora lievitare il proprio prezzo di listino, con un aumento di circa il 10% che interesserà soprattutto il mercato cinese. La mossa arriva in risposta all’incremento dei costi di materie prime, produzione e logistica, sullo sfondo dell’inflazione galoppante che sta caratterizzando lo scenario economico post-pandemia.