Gas Jeans si avvia verso il fallimento. L’istanza potrebbe essere dichiarata il prossimo mese. A partire da allora, per i 200 dipendenti potrebbe profilarsi lo spettro del licenziamento. Dovrebbe inoltre essere prevista la separazione della parte immobiliare dal marchio Gas Jeans.
A decretare la fine del marchio di jeans, fondato a metà anni Ottanta e ben conosciuto anche fuori dai confini nazionali, è stato il mancato pronunciamento del maggior creditore della società, il fondo Dea Capital Ccr II che fa capo a Dea Capital, controllata dal Gruppo De Agostini, che non ha votato il piano di concordato dell’azienda di Chiuppano, il cui termine era stato fissato alla mezzanotte di mercoledì. Dea Capital detiene 34,5 milioni di crediti a medio-lungo termine rilevati dalle banche creditrici a inizio 2018. Per la legge fallimentare italiana, l’astensione sul piano di Gas da parte di DeA Capital equivale al dissenso e, di conseguenza, a nulla è valso il parere positivo dell’altro creditore, la Amco, gestita dal ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha invece votato a favore del concordato preventivo in continuità. “Il piano quinquennale per ripagare i creditori che prevedeva il pagamento integrale dei crediti privilegiati e prededucibili e il 20% dei chirografari rimodulabili al rialzo con le iniziative commerciali e l’esito delle azioni risarcitorie in corso non ha quindi raggiunto la maggioranza per essere omologato”, si legge sul Giornale di Vicenza.
Secondo quanto riportato da Bebeez, alla fine dello scorso marzo l’indebitamento complessivo di Gas ammontava a 53,7 milioni di euro: oltre a quello detenuto da Dea Capital, si tratta di 12,7 milioni vantati da Amco e 6,5 milioni distribuiti fra MPS, Intesa, Unicredit e BPM.
Si avvicina così l’epilogo di Gas, che dopo i fasti degli anni Duemila, è stata coinvolta dal 2010 al 2018 in numerosi piani industriali, tutti falliti. Nel 2019, l’azienda era stata ammessa alla procedura di concordato in bianco e successivamente alla procedura di concordato pieno in continuità. L’emergenza Covid-19 aveva ulteriormente cambiato le carte in tavola, portando a presentare un nuovo piano concordatario, che era stato poi depositato a inizio dello scorso febbraio.