La ripresa post-Covid del lusso si rivela più fragile del previsto sul fronte cinese. A innescare il tracollo azionario delle grandi maison, lo scorso 17 agosto, è stato l’annuncio del presidente della Repubblica popolare Xi Jinping che ha delineato una nuova virata in direzione socialista. L’obiettivo è la ‘prosperità comune’, progetto economico che prevede politiche per la redistribuzione del reddito. Una posizione che, in molti, hanno interpretato come un aumento delle tasse per le classi sociali più agiate, con, all’orizzonte, un drastico ridimensionamento dell’élite dei super ricchi, nell’ottica di una lotta alle disuguaglianze che risponde alla crescente insofferenza popolare per la disparità di reddito nel Paese. Un gap in cui il 20% del gruppo più ricco guadagna più di 10 volte del 20% del gruppo più povero, all’interno di uno spettro economico sempre più polarizzato.
Un campanello d’allarme per i nomi della moda, che trovano nei facoltosi asiatici uno dei target preminenti. Le ripercussioni sui titoli fashion globali, infatti, non hanno tardato ad arrivare: i titoli del comparto di alta gamma hanno accusato in soli due giorni, attorno a metà del mese, una flessione a due cifre. Martedì 17 e mercoledì 18 agosto, Lvmh ha perso complessivamente 11%; Kering negli stessi due giorni, il 12%, Hermes l’8%, Richemont il 7% e Moncler il 10 per cento. Il tonfo ha interessato soprattutto i big del lusso, ma, secondo gli analisti, non mancheranno le conseguenze anche per i marchi di fascia media come Adidas e Nike.
Il clima in Cina aveva già iniziato a cambiare: il precedente invito del presidente a comprare locale, rilanciando il mercato interno, lasciava intendere un proposito autarchico che, insieme al boicottaggio di alcuni marchi stranieri in seguito alla controversia dello Xinjiang, stava spaventando il lusso occidentale e premiando il made in China, soprattutto nel segmento dello sportswear.
Il nuovo nazionalismo cinese dei consumi rischia di ripercuotersi in modo pesante sull’universo luxury che, da ormai un decennio, ha trovato nella terra del Dragone un traino imprescindibile per la crescita dei brand d’alta gamma. Traino che nell’anno e mezzo di pandemia si è trasformato quasi in un baluardo e che ora viene messo in discussione dalla doccia gelata di metà agosto attivata dal presidente cinese.
Arrivano però rassicurazioni da Bank of America, secondo cui l’emergente classe media cinese continuerà a essere uno dei motori dell’economia nazionale, potenziata dal piano di prosperità comune promosso da Xi Jinping. Altri analisti, però, come Flavio Cereda, managing director luxury equity di Jefferies, ridimensionano la portata di questo fenomeno compensatorio, affidando ancora ai super ricchi le sorti del lusso. Quanto l’erosione del ceto dei magnati inciderà effettivamente sul futuro del settore rimane una partita aperta.