Victoria’s Secret volta pagina. L’iconico e controverso marchio di lingerie statunitense, recentemente separatosi da L Brands, dice addio ai suoi ‘angeli’, l’olimpo delle top model dalla bellezza inarrivabile che ha contribuito a plasmare l’immaginario sul corpo femminile per oltre vent’anni. L’esordio risale al 1995, quando le massime rappresentanti delle passerelle nineties Tyra Banks, Naomi Campbell, Helena Christensen, Karen Mulder e Stephanie Seymour sfilarono all’Hotel Plaza, a New York, dando il via a uno spettacolo che acquistò velocemente una risonanza planetaria e già nel 1999 fu persino pubblicizzato al Super Bowl. L’evento si è trasformato in un appuntamento annuale tra i più attesi della cultura di massa, vissuto dal pubblico con fascinazione e insieme frustrazione per l’avvenenza quasi soprannaturale che portava in scena e celebrava.
Ora quello show non esiste più e al posto delle sue veneri alate, ammantate di strass e piume, compaiono sette donne famose che brillano innanzitutto per i propri successi, scelte per comporre il VS Collective: Megan Rapinoe, la calciatrice dai capelli rosa e attivista per la parità di genere, Eileen Gu, sciatrice freestyle cinese americana di soli 17 anni e prossima alle Olimpiadi, la modella svizzero-americana e sostenitrice dell’inclusività Paloma Elsesser e Priyanka Chopra Jonas, attrice e cantante indiana.
Saranno loro gli avamposti di quello che si prospetta il tentativo di rebranding più audace e radicale degli ultimi anni, uno sforzo che ambisce non soltanto a cambiare la percezione popolare di un marchio così iconico, ma a ridefinire il concetto di sensualità che da sempre rappresenta e veicola. Un restyling ideologico oltre che estetico, dunque, che si sforza di seguire il vento della contemporaneità, adattandosi ai suoi nuovi modelli e canoni. E che denota, oltre che un cambio di sensibilità, soprattutto una necessità urgente: la moda esclusiva non fa più presa, come testimoniava il tracollo degli ascolti dell’annuale fashion show, e l’inclusività si prospetta come l’unica via per restare a galla.
Se prima le istanze femministe del movimento body positive erano ancora considerabili una nicchia, per quanto militante, ora la questione della rappresentazione del corpo è diventata mainstream e anche le aziende sono chiamate a rispondere delle proprie scelte sul tema. Le prime avvisaglie della crescente inadeguatezza ai tempi del Victoria’s Secret Fashion Show erano già emerse nel 2019, quando una sferzante ondata di critiche ricevuta in merito alla taglia delle modelle, tutte con l’ambita 34, aveva spinto il brand di lingerie a cancellare lo show programmato per novembre. “Quando il mondo stava cambiando, eravamo troppo lenti per rispondere”, ha dichiarato il CEO Martin Waters al New York Times. “Dovevamo smettere di pensare a ciò che vogliono gli uomini e di occuparci di ciò che vogliono le donne”. Un cambio di paradigma che arriva dopo qualche timido tentativo sulla strada dell’inclusività, rivelatosi insufficiente senza l’apporto di un mutamento strutturale.
Un mutamento che sta coinvolgendo il marchio nella sua interezza, dall’offerta proposta al design dei negozi fino al management, e di cui l’addio agli ‘angeli’ non è che un epifenomeno, seppur vistoso. A seguire questo cambio di rotta ci sono circa 5 miliardi di vendite annuali, 32 mila posti di lavoro e una rete globale di vendita al dettaglio che conta circa 1.400 store, in attesa di cavalcare questo inevitabile riallineamento con la sensibilità del presente.