Per Alfonso Dolce, CEO di Dolce & Gabbana, la chiave per superare questo periodo al meglio è sicuramente “lavorare sulla qualità, sull’unicità e sull’eccellenza dell’esperienza da far vivere ai clienti attraverso il punto vendita, dove si può far vivere veramente il Dna del brand, e l’esperienza online”. Il manager, poi, sul Palco del 25° Fashion Summit Pambianco-Pwc ha fatto il punto sul presente e delineato l’evoluzione della griffe.
Come viene vissuto all’estero il legame del brand con la Sicilia?
Portiamo sempre attraverso concetti molto semplici ma molto focus quello che sono le radici del marchio fondate su una cultura mediterranea, sulla Sicilia in particolare. Attraverso le vetrine, i prodotti, ma soprattutto attraverso il mondo di relazionarci con i mercati – e quindi con i consumatori finali – nel non vendere un prodotto, bensì nel far vivere delle esperienze di vita. Questa è la formula che ci permette di avere quell’eccellenza, quell’unicità che differenzia un’azienda stile da un’azienda prodotto.
Qualche anno fa c’è stato l’incidente diplomatico in Cina che vi ha coinvolto, come sta andando lì il mercato?
Stiamo recuperando molto di questo imprevisto che abbiamo avuto. Ha rafforzato la cultura e la forza aziendale perché ci ha reso protagonisti in questi due anni di viaggi educativi e culturali. Abbiamo imparato che un marchio locale che vuole essere internazionale deve veramente calarsi all’interno dei territori, conoscere storia e cultura del proprio cliente per costruire insieme un percorso.
Siete tornati ai livelli pre 2018 o non ancora?
Stiamo recuperando, non siamo ancora a quei livelli perché avevamo una posizione molto dominante, eravamo tra i primi tre marchi sul settore, ma oggi ci stiamo riavvicinando. Abbiamo ancora strada da fare.
Tornando all’azienda, da qualche tempo, oltre alla comunicazione di prodotto e di stile, date uno spazio anche allo storytelling aziendale. Come mai questo cambio di rotta?
Può essere un’evoluzione naturale. L’azienda ha sempre voluto per strategia comunicare con la creatività, con la parte più artistica dei valori del brand. Più che raccontarci per noi è più importante fare, dare il nostro contributo al servizio dei nostri potenziali clienti. Sicuramente col rientro in Camera Nazionale della Moda Italiana Stefano Gabbana e Domenico Dolce hanno voluto dare un contributo maggiore di “sistema- paese”. Per noi l’Italia è qualcosa che rappresentiamo in maniera più eccelsa fuori dalle mura domestiche.
A proposito di italianità, come è nata e come evolverete l’idea dei co-branding con altri produttori?
L’attività di co-branding, che consiste nel selezionare delle eccellenze di prodotti italiani di varie categorie merceologiche – principlamente con un focus nel food, beverage e intrattenimento -, è un qualcosa che fa parte del Dna del marchio da sempre. La primissima collaborazione nasce nel 2001 con Martini, un brand di eccellenza italiana. Da qui pasta Di Martino, Panettoni Fiasconaro, Smeg, Donna Fugata. Ci piace condividere con il nostro cliente non soltanto un punto di vista di economia e di core business, ma un’esperienza di stile di vita. Il concetto di bellezza e il piacere di vivere fa parte di noi, sia quando lavoriamo con molta etica, rispetto e professionalità nel donare ad altri un prodotto di grande qualità, sia quando viviamo la vita di tutti i giorni. Vestiamo un prodotto di eccellenza e diamo una internazionalizzazione al prodotto e all’azienda, eccetto Smeg e Martini, le altre sono aziende più familiari.
E questi prodotti, dove si possono comprare?
Sia nel nostro sito che nelle distribuzioni tradizionali dei nostri partner.
Parlando di numeri, quali sono le previsioni di chiusura del 2020?
Siamo in un momento di mercato da definirsi. Avevamo una prima stima di chiusura del -15%, oggi la stiamo rianalizzando, dipenderà molto dal periodo di lockdown non solo in Italia ma anche in Europa e nel mondo.
Quanto fate di distribuzione diretta?
Oggi siamo un marchio che ha 70% di fatturato fatto dai propri DOS, 30% fatto con fatturato da terzi, di cui il 15% su insegna D&G. Abbiamo una vendita mono-insegna dell’85% e una vendita su canale multi-marca intorno al 15%. Riteniamo che il canale multi-marca sia un canale assolutamente importante e significativo, è fondamentale farlo in maniera qualificata. Il cliente deve avere l’opportunità di scegliere un prodotto attraverso un’offerta più ampia e diversa.
E di e-commerce?
Il dato dell’anno precedente si aggira intorno al 6%, quest’anno andremo verso l’8-9%, nel nuovo anno fiscale sicuramente oltre il 10%.
Prima parlavamo di prodotti… a parte Shiseido e Luxottica, avete tutto interno. Come siete organizzati?
La caratteristica principale del gruppo è di avere una realtà aziendale verticalizzata. Il concetto di creatività, ingegnerizzazione, produzione e distribuzione è quello di essere come filiera integrata interna a Dolce & Gabbana. Eccetto gli occhiali con Luxottica e il mondo della bellezza con Shiseido, tutto il resto, compreso le ultime categorie di prodotti – gioielleria e orologi – sono gestiti verticalmente dal gruppo. Abbiamo creato per ogni categoria merceologica delle divisioni industriali dedicate, rispetto anche alla coerenza tra la storicità di quel settore merceologico e il territorio.
La pandemia ha obbligato a rivedere la parte del prodotto e dell’offerta, voi su cosa vi state spostando?
In primis, sicuramente avere ancora più rispetto del proprio Dna e fare ancora più focus su quello che appartiene al valore etico del brand. Da una parte maggiore focalizzione sui contenuti creativi, dall’altro un ridisegnare all’interno delle strutture di collezione un piano di vita più lungo e coerente. Non si può parlare di moda, lusso, stagionale e continuativo: oggi è una esperienza che si evolve in maniera coerente e continuativa. Con la moda crei lo stile e lo stile non vive senza moda. La moda deve rimanere il punto cardine, ma intorno ad essa gira un concetto di offerta che è più coerente e contemporanea con un’esigenza di un consumatore molto più evoluto, dinamico e internazionale.