Sostenibilità e Diversità & Inclusione sono i due grandi temi che stanno cambiando l’industria della moda e ancora tanto la cambieranno negli anni a venire. Nonostante in ritardo rispetto ad altri settori, negli ultimi due anni anche il mondo del fashion ha messo in cima alle sue priorità il tema dell’inclusione, annunciando la nomina di responsabili con il compito di vigilare sulla diversità all’interno delle aziende.
Ne è testimone la seconda edizione del ranking annuale Diversity Leaders, promosso dal Financial Times con la collaborazione di Statista, società tedesca leader a livello internazionale nel campo delle ricerche di mercato, che da aprile ad agosto 2020 ha diffuso un questionario dedicato rivolto a 100mila dipendenti di 15mila aziende di 16 Paesi Europei: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera.
Il tema della diversity e dell’inclusività è già da tempo al centro delle policy aziendali dei gruppi americani, dove la sensibilità su questi aspetti è più accentuata per ragioni di composizione sociale. Ma anche in Europa il vento della diversità ha iniziato a soffiare.
Nella parte alta della classifica spicca Hermès, che ha conquistato la quinta posizione, facendo un balzo rispetto a un anno fa quando si era classificato 575esimo su 700. Subito sotto, al sesto posto, si piazza Giorgio Armani, la prima delle 35 aziende italiane a comparire nel ranking.
Nella top 100 entrano Prada, al numero 57, e Hugo Boss, al 97. Lo scorso ottobre la griffe italiana ha arruolato Malika Savell come chief diversity, equity e inclusion officer per il Nord America. In rappresentanza dell’Italia nelle prime 100, al 71esimo posto, si trova la beauty company Kiko Milano, mentre al numero 111 compare Benetton Group e al 711 il Gruppo Calzedonia.
Tra le 850 aziende più inclusive non compare un colosso come Lvmh, anche se si compaiono alcuni marchi del gruppo, come Sephora in 49esima posizione e Louis Vuitton in 161esima. Kering, invece, si classifica – solamente – al 715esimo posto, in quanto l’analisi sottolinea che il gruppo francese ha lavorato con impegno sul gender gap, aumentando il numero di donne nel suo cda, ma ha performance meno brillanti sul fronte “age” e “ethnicity”.
Diversity Leaders valuta la percezione che i dipendenti hanno dell’inclusività delle aziende, così come gli sforzi fatti per promuovere vari aspetti della diversità relative a età, genere, equità, etnia, disabilità e orientamento sessuale, ed è stata svolta in un momento in cui la pandemia a livello globale ha cambiato le modalità di lavoro e costretto milioni di persone a lavorare a distanza e con nuove modalità. Al fine di perfezionare l’analisi, oltre alle dichiarazioni dei dipendenti sono stati coinvolti anche i referenti delle risorse umane di ogni società.