Mesi di persistenti conflitti e violenze stanno testando il perimetro e la flessibilità del modello ‘un Paese, due sistemi’ che governa la relazione di Hong Kong con la Mainland, con eventi che hanno messo in questione la stabilità e il dinamismo del “clima d’impresa” dell’ex colonia britannica.
È con questi termini che, lo scorso 6 settembre, Fitch ha declassato Hong Kong da AA+ ad AA, precisando come, per quanto l’area resti forte a livello globale, sia a rischio di essere “ulteriormente erosa” dalle tensioni sociali.
Avamposto storico del lusso per la crescita nel continente asiatico, oggi Hong Kong registra un crollo delle vendite retail. Secondo i dati diffusi dal Census and Statistics Department della regione amministrativa speciale, dopo il calo del 6,7% dello scorso giugno, nel mese di luglio la flessione delle vendite al dettaglio è stata dell’11,4% a 34,4 miliardi di dollari di Honk Kong (circa 4 miliardi di euro). Complice il calo drastico del turismo (Hong Kong è meta di shopping per i viaggiatori cinesi), l’associazione stima un crollo double-digit dei ricavi retail per l’intero 2019. Non stupisce dunque che, il 4 settembre scorso, sia stato sufficiente l’annuncio di Carrie Lam, governatrice di Hong Kong, in merito al ritiro della legge sull’estradizione (norma all’origine della crisi), per generare speranze di normalizzazione e far decollare in Borsa i titoli di Lvmh (+3,6%), Kering (+3%), Moncler (+3,9%), Swatch Group (+2,4%) e Richemont (+2,5 per cento). Ma si è trattato di rimbalzi passeggeri, poiché i timori si sono invece estesi a tutta l’area del Sud Est asiatico. Secondo le banche d’affari internazionali, tra i player luxury più esposti ci sarebbero Richemont, il gruppo Swatch e l’americana Tiffany & Co. Più gestibile, invece, l’impatto sul comparto moda: gruppi come Lvmh e Kering, spiegano gli analisti di Cowen, possono infatti contare sia sulla diversificazione del portfolio sia sulla crescita delle vendite nella Cina continentale. “Credo che nel tempo Hong Kong sia destinata a ridursi di importanza per il lusso: diventerà una delle (molte) grandi città cinesi – ha spiegato a Pambianco Magazine Luca Solca, head of luxury goods research di Bernstein -.Questo trend è già in corso da diversi anni. Per ora, Hong Kong resta più importante, soprattutto perché ancora moltissimi dei marchi del lusso hanno lì il loro headquarter asiatico. Agli ‘expats’ Hong Kong piace e risulta più ‘facile’ di altre città cinesi”.
Quanto al made in Italy, secondo di dati condivisi dall’Agenzia Ice, nel periodo gennaio-aprile 2019 l’export di articoli di abbigliamento (compresi prodotti in pelle e pelliccia) ha segnato un +4% a 454,29 milioni di euro, valore che, da solo, è pari a circa un quarto delle esportazioni verso Hong Kong.