Uno degli esempi di acquisizioni più recenti è il passaggio della quota di maggioranza del brand Jason Wu al gruppo Green Arbour, ma anche la scalata al 100% di Bikkembergs da parte di Canudilo Modern Avenue. Negli ultimi quattro anni, tuttavia, sono stati numerosi i ‘colpi’ messi a segno da investitori cinesi nel lusso occidentale. E se da un lato i motivi per cui un brand in cerca di espansione può trovare allettante un partner cinese appaiono chiari (nel 2018, i consumatori cinesi hanno generato il 33% dello shopping d’alta gamma e questa percentuale, spiega Bain & Co, potrebbe balzare al 50% entro il 2025), dall’altro, riflette Wwd, sono diversi i casi in cui le operazioni delle conglomerate cinesi si sono tradotte in false partenze.
Tra i passi falsi più eclatanti degli scorsi anni, senz’altro c’è quello di Lanvin (per quanto l’acquirente nel 2001 fosse taiwanese).
Tra i casi casi recenti, il futuro di Sonya Rykiel, passata nel 2012 sotto il controllo della famiglia cinese Fung, è oggi al vaglio del Tribunale di Parigi, che valuta le offerte di tre player, dopo l’ingresso in amministrazione controllata. L’insegna britannica House of Fraser è stata rilevata dal taycoon Mike Ashley nell’estate 2018, dopo che il precedente proprietario Nanjing Cenbest, parte del conglomerato cinese Sanpower, aveva ufficializzato l’insolvenza e l’avvio della procedura di Cva (company voluntary agreement).
Tra chi potrebbe passare ancora di mano, stando a notizie apparse sulla stampa italiana lo scorso ottobre, è Buccellati. Non si tratta di un brand in difficoltà, ma i cinesi di Gansu Gangtai avrebbero assai più fretta del previsto nell’uscire, a due anni dall’acquisizione dell’85% della maison di gioielleria (a cedere le proprie quote erano state, allora, Clessidra e la famiglia fondatrice), per via del fatto che lo scenario sul mercato domestico (ossia, in Cina) si è complicato in modo imprevedibile per interventi legislativi e problematiche tariffarie. A fare luce su questa opzione è stata, negli scorsi mesi, L’Economia, secondo cui l’acquisizione sarebbe al vaglio di Richemont, holding svizzera del lusso che, in Italia, ha già completato l’offerta pubblica sul 100% del capitale di Yoox Net-à-Porter, ma anche della finanziaria del Qatar Mayhoola.
In un momento in cui il Governo di Pechino si adopera per la crescita dei consumi domestici (la progressione dello shopping all’ombra della Grande Muraglia è stata superiore al 20% negli ultimi due anni) e advisory internazionali prevedono un ulteriore allineamento dei prezzi globali, i brand hanno necessità di strutturare o rivedere la loro presenza nel gigante asiatico. Un partner locale rappresenta, in questo caso, un valido alleato per la crescita e gestione del network di negozi.
Tuttavia, se in una prima fase le acquisizioni da parte dei colossi asiatici erano votate alla sola spinta delle vendite in Cina, oggi si affianca la necessità, per operazioni di successo, di saper valorizzare l’heritage delle aziende rilevate anche in Occidente, anche dal punto di vista della governance. Non è un caso che una delle operazioni di maggior successo, il passaggio della maggioranza del gruppo Smcp (Sandro, Maje, Claudie Pierlot) a Shandong Ruyi, nel 2016, abbia tutelato la continuità del management. “Si tratta di avere degli investitori che guardino al lungo termine e che siano pronti a mettere il cliente al centro – ha spiegato a Wwd Michael McCool, managing director di AlixPartners con sede a Hong Kong -. Per un investitore è molto facile tagliare i costi, e talvolta questo è essenziale, ma se va a scapito della qualità dei prodotti, questo innesca una spirale discendente”.
I gruppi cinesi sembrano, ad oggi, meglio posizionati per lavorare al di fuori del segmento lusso. Il gruppo finlandese Amer Sports, che raccoglie sotto di sé marchi quali Salomon, Atomic, Wilson, è passato al consorzio Mascot Bidco Oy, guidato dal gruppo cinese Anta Sports, valutato, come si legge sul Corriere della Sera, 12,5 miliardi di dollari. Il gruppo Anta ha già l’esclusiva, per la Cina, dei marchi Fila (l’azienda nata nel Biellese, ora in mani coreane) e Descente. Secondo quanto riferito da Wwd, Fila ha raggiunto l’80% di crescita nel 2018 ed è il marchio con la progressione più rapida all’interno del gruppo.
L’acquisizione di un mass brand è però molto diversa da operazioni che coinvolgono maison del lusso e il loro quoziente di heritage e storia familiare. Qui il successo sembrerebbe più legato alle affinità culturali che al rigore nella gestione: un esempio valido, in questo senso è quello di Redstone Group, che controlla i marchi italiani Giada, Curiel e Gabriele Colangelo (oltre alla label cinese Yi), e le cui operazioni sono state guidate dall’interesse del numero uno Zhao Yizheng per la cultura del made in Italy.