Una crescita più lenta del mercato, il cambiamento delle abitudini di consumo delle nuove generazioni e l’incidenza sempre maggiore del canale e-commerce sulle vendite. Sono queste alcune ragioni che oggi spingono i brand a rivedere la portata della loro presenza in Cina o, addirittura, a fare retromarcia dall’Ex Celeste Impero. Ultimo, in ordine di tempo, è stato il retailer americano Forever 21 che, dopo la chiusura dei punti vendita di Tianjin, Hangzhou, Pechino, Chongqing e Xi’an, ha ufficializzato la chiusura delle sue operazioni in Cina. “Forever 21 – si legge su Wwd – si unisce a New Look, Topshop e Asos che hanno accusato la difficoltà di essere competitivi nel mercato cinese della moda low cost, dal momento che piattaforme come Taobao e Pinduoduo offrono un’ampia gamma di prodotti a un prezzo ancora più basso”.
Ma la ‘grande retromarcia’ coinvolge un numero assai più vasto e trasversale di soggetti. A dare il via alla ristrutturazione del retail cinese, nel 2017, era stata Zara che, con la chiusura del megastore all’interno del Lesen Shopping Center di Chengdu (aperto a fine 2011), aveva acceso i riflettori sulla fase di riposizionamento dell’intero spettro della moda, dal lusso accessibile alle griffe. Nel 2018 a dire addio alla Grande Muraglia sono state poi due delle più note catene britanniche, Topshop e New Look, e l’americana Macy’s, che ha chiuso il suo store online su Tmall. La fine della partnership con Tmall Global Store ha segnato l’addio di Macy’s al principale mercato asiatico, dopo la chiusura degli store in gestione diretta a Shanghai, nel 2015, e lo stop alla versione cinese del sito del deparment store a giugno 2018.
Oggi l’online è sempre più il canale di riferimento per lo shopping in Cina. A rivelarlo sono stati i dati 2018 del Ministero cinese del commercio, secondo il quale, lo scorso anno, l’e-commerce ha registrato vendite per 9mila miliardi di yuan (circa 1.183 miliardi di euro). In questo scenario, l’incidenza delle transazioni online è salita al 45,2% delle vendite retail nell’Ex Celeste Impero, guadagnando ulteriori quote rispetto all’incidenza del 37,9% del 2017.
Eppure a rivedere a la sua presenza in Cina è stato anche il numero uno dell’e-commerce mondiale: nelle scorse settimane, infatti, in un comunicato riportato dal Financial Times, Amazon ha reso nota la chiusura, dal prossimo luglio, del suo marketplace cinese per i venditori terzi. “Continuiamo ad effettuare degli aggiustamenti nella gestione operativa per concentrare i nostri sforzi sulle vendite transfrontaliere in Cina e per continuare a migliorare l’esperienza sia per i clienti cinesi sia per i nostri partner di vendita globali – si legge nella nota diffusa da Amazon -. L’interesse di Amazon nei confronti della Cina rimane forte: abbiamo creato solide fondamenta in numerose attività di successo e continueremo a investire e crescere in Cina attraverso Amazon Global Store, Amazon Global Selling, AWS, ed i dispositivi ed i contenuti Kindle”. Il colosso di Seattle è sbarcato Oltre Muraglia 15 anni fa, nel 2004, tramite l’acquisizione del sito di e-commerce Joyo.com, all’epoca il principale rivenditore online di libri in Cina.
Significativa, infine, nel settore lusso, la strategia portata avanti da Burberry, che ha iniziato a ridurre la sua impronta retail a Shanghai, affidando la crescita delle vendite al canale digitale. Secondo quanto pubblicato dal sito No Fashion e ripreso da Jing Daily, infatti, la maison britannica avrebbe chiuso quattro store a L’Avenue, nel K11 Art Mall Shanghai, nel Westgate Mall e quello all’interno dell’Hongqiao Airport. A queste dismissioni, precisa Jing Daily, potrebbero seguire due nuovi opening nei nuovi templi dello shopping Ifc Shopping Mall e Iapm Mall. “Le chiusure di negozi di Burberry in Cina – spiega Jing Daily – potrebbero non essere indicative di eventuali difficoltà del marchio nel Paese, in quanto, negli ultimi mesi, la griffe ha chiaramente trovato un modo per vendere ai consumatori più esperti nel digitale attraverso piattaforme come WeChat“.