H&M assolda la ‘talpa’ da Cambridge Analytica come suo nuovo direttore delle ricerche. Christopher Wylie, che guidava le ricerche della società di consulenza britannica e che quest’anno è venuto alla ribalta come l’informatore dello scandalo che ha coinvolto Facebook, è stato nominato nel nuovo ruolo a partire dal 1 dicembre. Wylie lavorerà al fianco di Arti Zeighami, il numero uno della divisione intelligenza artificiale del colosso svedese, e il suo compito sarà esplorare come i dati e l’AI possono aiutare la moda, il fast fashion nello specifico, ad affrontare le emergenze nel campo della sostenibilità.
Nel suo inventario al 28 febbraio 2018, infatti, il colosso svedese ha accumulato 3,4 miliardi di euro di indumenti in giacenza (+7% rispetto alla stessa data del 2017) ed è finita sotto tiro per l’accusa di aver bruciato, negli scorsi anni, circa 60 tonnellate di abiti non venduti e ancora utilizzabili.
Che si tratti di fast fashion o di lusso, ad ogni modo, l’attualità inquadra come necessario il superamento del concetto di supply chain, la tradizionale catena della fornitura, a favore dello sviluppo di una demand chain, letteralmente una ‘catena della domanda’, dove sono la raccolta e l’elaborazione di dati a stimare con maggiore esattezza la tipologia e la quantità di merce vendibile.
L’intelligenza artificiale può aiutare a far combaciare meglio produzione e domanda, nell’ottica di ridurre gli sprechi e ottimizzare la supply chain. “Investire in AI permetta a un’azienda non solo di allineare la produzione di vestiti alla domanda dei consumatori, portando a maggiori ricavi, ma anche di guadagnare di più producendo meno, e di conseguenza sprecando meno”, ha detto Wiley a margine di Voices, il raduno annuale promosso da Business of Fashion. “Ciò significa che essere più sostenibili non è solo una decisione che a che fare con l’ambiente, ma anche con con il business”.