Dopo svariati lavori all’interno dei più grandi marchi di moda, l’anno scorso Samuele Failli ha fatto debuttare la collezione di calzature che porta il suo nome. Spinto da un maestro d’eccezione e con una idea in testa: creare scarpe che assomigliano a sculture.
Miu Miu, Prada, poi Azzedine Alaïa, Tom Ford e Saint Laurent. Come si passa da collaborazioni tanto celebri allo sviluppo di un proprio brand?
È stato un passaggio molto naturale, d’altronde era un’idea che avevo in mente da molti anni. Poi una sera a cena Azzedine mi guarda e mi dice “Devi fare il tuo marchio”. Da lì, è andato tutto ancora più velocemente.
Come è iniziato il tuo percorso?
Mia mamma è sarta e da lei ho sicuramente ereditato la passione per la moda, anche se il mio primo lavoro è stato come designer di gioielli. Poi mi sono trasferito a Londra e mi sono diplomato in Fashion Design al London College of Fashion. E da lì, ho lavorato sette anni nelle divisioni footwear di Prada, poi di Tom Ford a Londra e di Yves Saint Laurent a Parigi, prima con Stefano Pilati e successivamente con Hedi Slimane. E a Parigi, mi sono fermato altri cinque anni, a fianco del maestro Alaïa. Ispirato da lui e dalla sua collezione, a febbraio dello scorso anno ho fatto il grande passo e ho presentato la prima collezione che porta il mio nome.
Qual è il target del tuo marchio?
Avendo sempre lavorato con marchi di moda, dove la scarpa è per forza di cose connessa a un look, il desiderio era quello di creare qualcosa di completamente slegato dalla stagionalità o da un ideale preciso. Volevo delle scarpe che fossero come sculture, che quasi diventassero degli oggetti d’arredo per la loro bellezza. D’altra parte, io ho la casa piena di scarpe (ride, ndr).
Da dove prendi ispirazione per i tuoi modelli?
Da quello che vedo e che vivo in prima persona. Di recente sono stato in Argentina e da lì ho tratto davvero moltissimi spunti. Un punto fermo è sicuramente il comfort, una caratteristica che anche i buyer apprezzano molto della mia collezione: sono riuscito a ideare una calzata super comoda e ne vado parecchio orgoglioso.
A proposito di materiali, dove vengono prodotte le calzature?
Rigorosamente in Toscana, mia regione d’origine, e precisamente dal paese dove sono nato, Castelfranco di Sopra, provincia di Arezzo. Ho costituito addirittura una società con i miei produttori, proprietari di una fabbrica storica che lavora per i più grandi marchi del made in Italy. Questo perché, se le silhouette che disegno sono molto semplici, trovo che invece i materiali debbano fare la differenza: anche questo è un insegnamento che mi è arrivato da Alaïa.
Qual è il posizionamento del marchio?
Il brand si attesta nella fascia del lusso accessibile. L’entry price è attorno ai 450 euro, una cifra giustificata dalla qualità di tutto il prodotto: anche il fondo è prezioso. A me, comunque, piace pensare che la mia scarpa sia per tutte.
La distribuzione, invece, come è organizzata?
La collezione è disponibile in circa 30 multibrand in tutto il mondo, da Barneys fino ad Harvey Nichols, da Luisa Via Roma e Antonia fino a Mytheresa. L’intenzione è di espanderci, anche a fronte di alcune novità a livello strategico che permetteranno al marchio di crescere parecchio. Un sogno nel cassetto? Fare anche i profumi.
di Caterina Zanzi