Negli ultimi mesi, si è aperta una caccia senza precedenti al manager italiano. Il fenomeno, analizzato all’interno di questo numero di Pambianco Magazine, riguarda le cabine di comando dei principali gruppi luxury internazionali, dalla Francia al Regno Unito, agli Stati Uniti. E inizia a declinarsi, con frequenza, in una doppia guida: gestionale, cioè è italiano il Ceo; e creativa, cioè è italiano anche il designer. Evidentemente, c’è la percezione di un valore aggiunto portato dai dirigenti made in Italy. Ed è indubbio che le maison internazionali stiano puntando su un know how che va oltre quello prettamente gestionale. Si cerca una conoscenza che non sia solo tecnica, bensì sia anche relazionale, emotiva, territoriale. Antonio Belloni, direttore generale delegato di Lvmh, ha spiegato a Pambianco Magazine che il “boom di manager italiani alla guida del lusso mondiale” si lega a un “mix di fattori”. Ma, soprattutto, deriva dal fatto “che abbiamo un gusto estetico unico al mondo, siamo abituati al bello che ci circonda e abbiamo una predisposizione naturale ai rapporti umani”. Ecco, dunque, che l’arma in più dei ‘capitani’ italiani sembra essere la conoscenza del campo da gioco e dei suoi giocatori. Ovvero, di quella filiera del made in Italy che, come più volte sottolineato dalle nostre analisi nel corso degli ultimi mesi, è tornata a essere riconosciuta come un asset unico del sistema Italia. L’origine italiana, infatti, ha un valore sempre più spendibile, grazie alla voglia di ‘story’ che accompagna il prodotto. Una recente analisi di Exane Bnp Paribas, per esempio, spiega che “ci sarà una crescita strutturale delle etichette d’origine”, poiché sono divenute una “proxy del valore percepito di un brand e possono supportarne lo storytelling artigiano”. Per questo, il prodotto realizzato in Italia può oggi contare su un raro vantaggio competitivo. È un altro modo di spiegare ciò che il numero uno di Kering, Francois-Henri Pinault, ha ribadito all’inaugurazione dell’ArtLab di Gucci a Scandicci: “Forse in Italia non c’è piena consapevolezza di quale patrimonio rappresenti l’industria territoriale. Noi siamo orgogliosi delle radici di Gucci, e continueremo a investire su queste radici”. E non è un caso che Burberry, guidato dalla coppia italiana Marco Gobbetti (CEO) e Riccardo Tisci (designer), abbia appena acquisito CF&P, fornitore di Scandicci per portare in house la filiera pelle. Insomma, i gruppi internazionali scommettono sulla filiera italiana. E, per farlo al massimo, reclutano i manager più capaci di muoversi in quella filiera. I quali, per parafrasare il detto, quando non sono profeti in patria, diventano, senza dubbio, profeti della patria.
David Pambianco