Sul palco, i numeri uno di Investindustrial e Carlyle. Per i fondi, il fashion è un settore “ancora non del tutto esplorato”. I brand hanno potenzialità, ma serve supporto per “il salto successivo”.
Il mondo del private equity si interessa sempre di più ai brand della moda, così come all’Italia in generale. Questa, infatti, sta vivendo un momento positivo, che il sistema e i suoi attori devono essere in grado di sfruttare a dovere. Questo quanto raccontato da Andrea Bonomi e Marco De Benedetti, intervistati da Enrico Mentana al 22° Summit Pambianco Deutsche Bank.
Qual è l’acquisizione di cui siete più orgogliosi?
Andrea Bonomi (Ab): I progetti affrontati sono vari e diversi e per questo sono tutti interessanti. Quando rimetti a posto le aziende e le globalizzi, queste hanno tutte le loro peculiarità. In questo momento, Sergio Rossi è interessante, così come Aston Martin. Sono tutti interessanti, non c’è un’azienda di cui ti innamori di più. Forse, su Ducati, avremmo potuto fare ancora un po’.
Marco De Benedetti (Mdb): Il nostro mestiere è quello di investire i soldi per poi riguadagnarli. C’è quindi, in questo caso, da considerare il profilo finanziario, con investimenti che sono andati meglio di altri. Poi però ci sono i progetti di cui ti innamori e che non sono necessariamente quelli che sono andati meglio. Visto che parliamo di moda, uno dei progetti che mi ha appassionato di più è stato quello con Moncler. Quando l’abbiamo rilevato nel 2008, Moncler era un marchio storico che aveva perso smalto. Credevamo che avesse un potenziale importante, grazie anche a un imprenditore di grande talento che lo aveva rilevato (Remo Ruffini) e l’idea era quella di trasformarlo in un player di tutto rispetto a livello mondiale. È stato un lungo percorso, in cui le novità a livello di processi e struttura da noi introdotti uniti alla creatività di Ruffini hanno portato al successo. Ecco, vedere il percorso di queste aziende mese dopo mese è emozionante. In questo caso, poi, la soddisfazione è arrivata anche dal punto di vista dell’investimento, infatti abbiamo decuplicato i soldi.
Ci sono esempi in cui vi siete soffermati troppo su un progetto quando invece sareste dovuti uscirne prima?
Ab: In realtà ci sono molti esempi in cui rimaniamo troppo poco. La nostra industria sta cambiando. Gli investitori, come i fondi pensione, diciamo in generale gli investitori primari internazionali, sono ormai disposti a lasciare che i gestori del proprio patrimonio rimangano in un investimento anche per più di 10 anni, se c’è un piano ben fatto. Per cui credo che ci saranno certi gestori che avranno degli hold periods tra 10-15 anni. Questa è un po’ la novità del nostro settore.
Mdb: C’è uno stile diverso. Credo che il nostro mondo, quello del private equity, sia abbastanza variegato, di conseguenza ci sono specializzazioni e modalità diverse. Ciò che personalmente mi appassiona di più è il cambiamento, quindi tutta la parte legata al processo che mi porta a ottenerlo. Una volta che questo è stato completato, passo la mano a qualcun altro.
Come si coniuga il vostro mondo con settori come questo, la moda, in cui c’è un forte tasso di creatività ed emotività?
Mdb: La moda è un settore abbastanza recente per il private equity. Sono convinto che ci sono molte aziende che hanno un potenziale inespresso. Quando, per esempio, hai un buon prodotto che incontra i gusti del mercato, magari riesci a costruire un’azienda che fa 100 milioni di fatturato. Ma se tu vuoi un’azienda che fa 1 miliardo di fatturato, il prodotto è sì necessario, ma non è più sufficiente. Hai bisogno di un set di skills dentro l’azienda che sovente questi imprenditori hanno difficoltà a portare. Operatori come noi, in partnership con la creatività, sono quelli che possono far fare il salto all’azienda.
Ab: Per il private equity, storicamente l’azienda industriale è più semplice, poi ti puoi muovere verso la light industry, come gli occhiali, il design. Quando ti avvicini alla moda ci sono aziende molto più fragili che hanno bisogno del nostro apporto. Ma non è semplice, perché si rischia di schiacciarle, per via della componente soft, ovvero la creatività. Però, alla fine, è l’El Dorado, l’ultimo posto in cui il private equity non ha ancora trovato la metodologia per investire. Primo perché sono business di corto termine, non nel senso della strategia, ma nel senso che vivono giorno per giorno il trend del mercato. Mentre, se per esempio prendiamo il design, questo cerca di fare prodotti che siano potenzialmente infiniti e moderni anche tra 50 anni. Per cui ci sono tante aziende, tutte mid market e hanno tutte un cambio generazionale in atto.
Qual è l’ultima acquisizione?
Ab: Con B&B abbiamo comprato Arclinea che fa cucine nel nord est Italia e stiamo rilanciando questo. Attualmente, ci sono un paio di transazioni in atto, una nel fashion e una nel design. Speriamo di riuscire ad arrivarci.
Mdb: Golden Goose, azienda basata a Venezia. Noi pensiamo che abbia un potenziale di crescita importante e siamo molto soddisfatti. La scarpa da ginnastica non è più qualcosa che metti solo per fare sport, è qualcosa che sta entrando a livello di trend come prodotto di tutti i giorni. E ciò crea una segmentazione del mercato, perché ci sarà sempre qualcuno che vuole qualcosa di un po’ più esclusivo e diverso. Golden Goose ha una forte creatività ed è tutto made in Italy, e credo sia tra le poche scarpe da ginnastica a esserlo. Ha la capacità di personalizzazione, di fare cose un po’ uniche, serie limitate. La gente, infatti, vuole sempre qualcosa di esclusivo, di particolare. Questo è quindi un segmento, secondo noi, in crescita e l’azienda è ben equipaggiata. Per raggiungere il suo pieno potenziale ha però bisogno di essere strutturata. è un’azienda cresciuta molto rapidamente, senza avere una particolare struttura, solo con la potenza del suo prodotto, e per fare il passo ulteriore bisogna strutturarla ed è quello su cui stiamo lavorando.
In questo momento l’Italia, per il private equity, che cos’è in termini di rischio e opportunità?
Ab: Questo è un momento di svolta importantissimo e le cose si devono mettere in positivo, cosa molto probabile che accada. Basta guardare Milano, se dai un po’ di ossigeno al sistema Italia, come sta succedendo in questo momento, vedi la parte imprenditoriale e creativa crescere. È però un momento critico e non bisogna sbagliare nei prossimi mesi, sia per quanto riguarda il brand made in Italy, che per la parte più fashion. L’Italia è interessante, ma dobbiamo giocarci bene i prossimi 12 mesi.
Mdb: Io sono ottimista. Nel 2013-14 gli investitori internazionali avevano messo una croce sull’Italia, ‘troppo rischiosa e ci sono tante altre opportunità’. Oggi, grazie anche all’Europa che sta facendo da traino, non percepisco più preoccupazione per l’Italia, cosa che rappresentava il primo freno, e quindi questo ha trasmesso molto ottimismo e confidenza. Le cose stanno iniziando ad andare bene, abbiamo anche il traino internazionale, dobbiamo però sapercela giocare. Oggi però i capitali internazionali guardano in maniera molto positiva l’Italia.
Bonomi, avremo dei vantaggi con la Brexit?
Ab: Abbiamo dei vantaggi da ciò che sta accadendo in giro per il mondo. L’Italia di colpo è passata da essere uno dei Paesi più instabili, a una meraviglia di stabilità, se vogliamo guardarla in questo senso. L’Inghilterra, che è uno dei nostri competitor, fa la Brexit. Gli Usa stanno anche loro vivendo una fase particolare. Certo, abbiamo ancora dei probemi, banche non abbastanza forti e antiquate, un sistema politico che è un po’ quello che è, però non siamo completamente in un’altra partita, cosa che eravamo cinque anni fa.
E se l’anno prossimo foste ancora qui, a questo convegno, cosa sperate di poter raccontare?
Mdb: In questo settore, ma è un male un po’ italiano, abbiamo tantissimi imprenditori capaci di fare il primo passo, ma non sono in grado di fare il secondo. Abbiamo aziende capaci di arrivare ai 100 milioni di fatturato, che significa essere piccoli a livello globale, e poi ti fermi. Questo perché l’imprenditore pensa di essere l’unico a poter portare avanti l’azienda e che quindi deve fare tutto lui. Non è però in grado di attrarre talento dentro le aziende, e nessuno, da solo, è in grado di farlo. E quindi mi auguro che noi, come private equity, e tutto il sistema, riesca a contribuire affinché queste aziende possano fare il salto. Perché noi abbiamo un enorme potenzialità e dobbiamo riuscire a far fare alle aziende questo salto in più.
Ab: Noi abbiamo un target: di raddoppiare, per cui puntiamo a un miliardo e mezzo in più di fatturato, che non è facile da realizzare. Questo perché, quando le cose vanno bene, come adesso, non ci sono imprenditori che sentono il bisogno di aggregarsi in una piattaforma globale. Se nei prossimi mesi ce la faremo, allora avremo delle aziende globali. Non si può infatti avere un’Italia fatta solo di imprese che hanno un imprenditore e un prodotto che è andato bene. Come diceva De Benedetti, bisogna fare il passo successivo.
di Sabrina Nunziata