Il vice presidente di Marcolin Group riflette sugli sviluppi futuri e sulla recente joint venture con il Gruppo Lvmh. L’eyewear italiano vince grazie alla tradizione artigianale unita alla ricerca tecnologica.
l mondo dell’occhiale è sempre più competitivo, ma il primato italiano è fuori discussione. Ne è convinto il vice presidente esecutivo di Marcolin Group Giovanni Zoppas, intervistatp da Enrico Mentana al 22° Summit Pambianco Deutsche Bank. Il manager ricopre inoltre il ruolo di CEO di Thelios, la joint venture tra Lvmh e Marcolin Group.
Lei ha preso in mano un marchio. Cosa distingue Marcolin dai suoi competitor?
Esatto, Marcolin è un marchio nonostante produca, disegni, distribuisca per altri brand. Questo è il più alto valore che ho trovato in azienda. Marcolin vive di una vita propria nonostante si sviluppi in un mercato basato su licenze. Questo valore si basa sulla qualità del disegno, della produzione, aree che non ho toccato da quando sono arrivato.
Con quale missione è arrivato?
L’entrata del fondo Pai Partners, oggi nostro socio di maggioranza, era basata sulla visione di un settore tutto sommato vecchio, e si riteneva fossimo di fronte a un consolidamento che sta avvenendo. Ritengo ci sia un po’ troppa enfasi sul settore degli occhiali, per quanto stia andando bene, non è che stia avendo un boom. All’interno del settore c’è una lotta serrata per sottrarsi fette di mercato. Sei-sette anni fa, prima che Pai Partners entrasse, c’è stato una sorta di spartiacque: questo settore veniva da una specie di ubriacatura dovuta al fatto che il mercato beveva più o meno tutto. C’era stato un grande recupero di marginalità attraverso le produzioni fatte in Cina, poi è successo un po’ di tutto. Il mercato ha cominciato a entrare in contrazione, la Cina non è stata più interessante com’era, il dollaro è cambiato mutando le prospettive di marginalità. Di fronte a questo si è passati a un approccio sul mercato da centometristi a fondisti.
Perché sono arrivati anche molti fondi?
Sì abbiamo trovato i fondi che ci hanno aiutato “a fare fondo.” Penso che nei prossimi cinque anni non tutti saranno sulla scena. Con la diminuzione del numero dei player sul mercato, automaticamente diminuirà il numero dei brand. Quelli importanti resteranno pochi. Saranno quelli che hanno una presenza mondiale, una versatilità sole-vista e un posizionamento molto chiaro sul mercato.
Thelios, vostra recente joint venture con Lvmh, quanto è legata alla decisione di Kering di seguire internamente il settore eyewear?
Sicuramente questi gruppi si guardano l’uno con l’altro, è abbastanza normale perché si scontrino sullo stesso mercato. L’approccio però è diverso, semplificando direi che Kering si è basato sul prodotto e sul marketing, per noi il pilastro della nostra organizzazione è la fabbrica, ne abbiamo costruito una nuova di fronte alla sede Marcolin a Longarone. Quello che ci viene riconosciuto è essere capaci di saper fare le cose.
In un’era in cui tutto avviene virtualmente, come mai la fisicità del made in Italy prevale sulle altre?
Il made in Italy ha questa unicità perché vive all’interno della bellezza. Per noi è naturale vivere circondati dal bello. Ciò influenza l’artigianalità e la possibilità di realizzare prodotti migliori.
Il gioco delle licenze come estensione estrema di brand sta finendo?
Non credo, ci sono gruppi come Kering e Lvmh che hanno un portafoglio che permette loro di vivere da soli l’esperienza dell’occhiale. Altri marchi di grandissima importanza non hanno la scala per fare altrettanto, e dovranno sempre trovare un porto nel quale andare per farsi gestire questo accessorio indispensabile per lo stile di un brand. Marcolin ha tutti gli elementi per espandere il suo business con questi brand. L’eyewear è un settore che ha grandissime barriere all’entrata di tipo tecnologico, distributivo. Fare da soli non è semplice.
di Marco Caruccio