Dopo diverse esperienze nelle principali realtà del lusso, oggi è un consulente. E ha una visione chiara: “Il momento è positivo, ma bisogna avere cautela”. Con un’avvertenza:“Non ci sono solo i Millennials”.
Il lusso sta vivendo un momento positivo che le aziende devono avere l’abilità di sfruttare. L’innovazione e la velocità non vanno solo raccontate, ma anche applicate ai business. Soprattutto quelli della moda, che più di altri devono saper guardare al futuro. Lo ha spiegato Patrizio Di Marco, ex super manager del lusso (tra cui Gucci) e oggi “battitore libero” (nonché consigliere di Dolce & Gabbana), intervistato da Enrico Mentana al 22° Summit Pambianco Deutsche Bank.
Come vede la situazione del mercato?
Lo scorso mese Bain ha indicato come il settore sia arrivato ai 260 miliardi e le previsioni di crescita sono migliori rispetto al passato. Quindi è sicuramente un momento positivo, ma suggerirei comunque un po’ di cautela. Anche perché la grande opportunità di questo settore è anche il grande rischio. Negli ultimi 15 anni, infatti, il settore è dipeso dall’andamento di Cina e cinesi che, viaggiando, contribuiscono al 60-70% della crescita. Ora però il governo vuole aumentare i consumi interni. E se i cinesi viaggeranno di meno, ci sarà un momento di flessione dell’Europa.
A meno che l’Europa non si adegui andando in Cina più massicciamente…
Assolutamente sì. Ci deve essere una cautela nel vedere questi fenomeni. Così come bisogna prestare attenzione alle generazioni. Oggi, tutti parlano dei millennials, ma ci sono anche altre categorie che le aziende devono considerare. Come i baby boomers, che pesano ancora in maniera significativa, così come la generazione appena successiva. E, in particolare, la generazione Z, i teenagers.
È questo quello che ricorda all’interno dei board di cui fa parte?
Cerco di far presente queste cose e anche altre. Mi auguro vivamente che il lusso, e la moda in generale, si aprano maggiormente. Questi dovrebbero essere i settori che guardano di più al futuro, ma che sono stati per molto tempo tradizionali. Adesso si parla sempre di velocità e innovazione, ma non è chiaro quanto questi concetti si tramutino in fatti o rimangano solo parole.
Quanto paghiamo il fatto che le chiavi dell’e-commerce siano fuori dall’Italia?
L’e-commerce è una di quelle cose rispetto alle quali le aziende del lusso si sono sempre mosse in ritardo. Considerando i marchi più rilevanti, solo Burberry e Gucci si sono mosse prima degli altri, e, infatti, ne hanno avuto benefici. Però, in entrambe le aziende il fatturato e-commerce è probabilmente intorno al 10%, che è una percentuale rilevante ma non è niente rispetto ad alcuni operatori americani. Per esempio, un marchio in difficoltà come Ralph Lauren, e che comunque fattura 7 miliardi, fa il 25% sull’e-commerce. C’è la necessità di cambiare proprio la mentalità. Ci sono marchi come Chanel che ancora non hanno nemmeno un loro sito e-commerce.
Ma è necessario? Chi ha fatto del rapporto diretto, fisico, una ragione di successo ha necessità di aprirsi in questo senso?
L’online non deve sostituire il negozio, bensì lo deve affiancare. Dall’America, soprattutto, si dà il retail fisico come moribondo. Non penso né che lo sia né che lo diventerà, anche se si deve sicuramente snellire. Ci sono molti negozi in cui i dipendenti passano la maggior parte del tempo a verificare se ci sono o meno i prodotti in negozio. La tecnologia deve liberarli da queste incombenze e si deve accentuare il rapporto con il cliente. E questo vale sia per le generazione come le nostre, sia per i millennials e la generazione Z, a cui penso interessi questa interazione, nonostante l’attaccamento al digitale.
Sei lei dovesse raccontare, dalla sua esperienza, una case history quale sarebbe?
Sicuramente Bottega Veneta. È un’esperienza che è stata esaltante per una serie di motivi. Prima di tutto per una presenza di talenti dentro l’azienda che veramente avevano cuore e passione nei confronti del marchio, a cui si è aggiunta la lungimiranza dell’imprenditore. In Bottega Veneta siamo riusciti a costruire una storia che di fatto non esisteva. Tutti pensavano che Bottega esistesse da sempre, ma difatti è stata la costruzione di un mito.
di Sabrina Nunziata