Da un anno guida Miroglio Fashion, dove è stato chiamato per portare cambiamenti. Il mercato italiano è ancora predominante, ma occorre rafforzare i numerosi brand prima di investire oltre confine.
Il confronto con il segmento fast fashion, la volontà di accelerare nell’e-commerce e di consolidare il mercato interno prima di impegnarsi maggiormente all’estero. Hans Hoegstedt, CEO di Miroglio Fashion, intervistato da Enrico Mentana in occasione del 22° Summit Pambianco Deutsche Bank, riflette sulle sfide che la società di abbigliamento femminile del Gruppo Miroglio è pronta ad affrontare.
È in Italia da vent’anni, ma in Miroglio da uno, come mai la società hai scelto lei?
Conoscevo la famiglia Miroglio da un bel po’. Pur arrivando da un’esperienza in un’azienda industriale come Prysmian Group, chi mi conosce bene sa che la moda era una delle mie passioni sin da bambino. Certamente, sono stato chiamato per portare dei cambiamenti. Parliamo di un’azienda storica che quest’anno compie 70 anni ma è sempre stata molto innovativa. L’86% del nostro fatturato deriva dall’Italia, ci sono state delle difficoltà nel panorama nazionale, ma ora attraversiamo un momento positivo. Non è semplice ma abbiamo fatto un cambiamento molto forte.
Le grandi catene fast fashion sono presenze molto ingombranti in Italia, qual è la vostra strategia per restare competitivi?
Noi dobbiamo trovare la nostra strada, essere italiani significa essere incredibilmente bravi nel modellismo in termini di prodotto; puntiamo alla differenziazione, alla forte esperienza del brand, all’anti-massificazione. Così come per il food, anche nella moda stanno rinascendo le boutique in città fatte su misura.
Il gruppo Miroglio comprende tanti marchi: non sono troppi?
Forse sì. Infatti, in questo primo anno ci siamo focalizzati principalmente su quattro: Elena Mirò, Motivi, Fiorella Rubino e Oltre. Interpretiamo la nostra azienda come una grande cucina formata da competenza su prodotto, supply chain e produzione, un laboratorio circondato da tanti ristoranti che riusciamo a fornire con prodotti differenti. Abbiamo costruito un’offerta molto ampia includendo anche stilisti esterni e personaggi dello star system, quest’anno abbiamo lavorato con Francesco Scognamiglio e Vanessa Incontrada (rispettivamente per Motivi ed Elena Mirò, ndr). Abbiamo 1.200 negozi in Italia, c’è necessità di vivere un’esperienza piena. Sebbene ci sia pressione sul prezzo sta ritornando la fame di moda, di sogno.
Oltre allo shopping tradizionale c’è l’e-commerce, cosa rappresenta la vendita online per il Miroglio?
In rete siamo storicamente deboli. L’e-commerce rappresenta l’1% delle vendite ma negli ultimi undici mesi abbiamo lanciato 5 nuovi siti e abbiamo in programma di arrivare al 7,5% nei prossimi 3 anni. Quest’anno investiamo quasi 4 milioni in tecnologia che non rappresenta il fine ma il mezzo, siamo totalmente omnichannel con spedizione a casa o in negozio. Senza dimenticare gli store fisici, quest’anno abbiamo ristrutturato 300 negozi in 330 giorni, l’ultimo dei quali è il negozio Caractère in Piazza La Scala a Milano.
L’Italia rappresenta l’86% del vostro mercato: è un punto di forza o una debolezza?
Stiamo lavorando per rafforzare l’identità dei marchi così da costruire un trampolino per investire all’estero. Siamo già presenti in Russia e Spagna, Elena Mirò e Caractère hanno un forte potenziale internazionale, Motivi meno. Il successo delle aziende si basa sulle persone: nel mio primo mese e mezzo dopo la nomina, penso di aver incontrato ogni persona in azienda per capire l’anima di Miroglio, cosa sappiamo fare. I cambiamenti devono essere costruttivi. Recentemente abbiamo introdotto Workplace, una piattaforma di comunicazione e collaborazione aziendale ideata da Facebook per facilitare il passaggio di informazioni in azienda.
I primi indicatori che avete sulla fine dell’anno?
Quest’anno il mercato generale chiuderà in negativo a causa di un ottobre difficile per ragioni di clima, novembre non è stato un granché, ma noi chiuderemo l’anno in modo positivo.
di Marco Caruccio