Le aziende vinicole mostrano un generale progresso. La crescita è maggiore nella fascia alta, dove l’ebitda vola al 23,3% dei ricavi.
Il vino si conferma come uno dei settori trainanti del made in Italy, ma corre a due velocità. I leader del comparto che occupano la fascia alta vanno decisamente meglio del mass market, e possono vantare una redditività superiore agli altri prodotti di lusso. Secondo lo studio realizzato da Pambianco Strategie di Impresa su un panel di 189 aziende italiane, il 2016 si è concluso con una crescita del 5,1% per un giro d’affari complessivo di 6,5 miliardi di euro, ma è il mondo fine wines a tirare il gruppo: le 55 aziende posizionate al top di gamma hanno evidenziato, infatti, un progresso del 7,9% contro il +4,5% della fascia media. Ancor più rilevante è il dato relativo alla marginalità misurata in ebitda: 23,3% del fatturato contro 7,6 per cento.
EBITDA STRATOSFERICI
In vetta alla classifica per fatturato, tra le aziende di prestigio, si conferma Antinori con 220 milioni di ricavi (+5,4%) e con un ebitda monstre del 44%, pari a 97 milioni di euro. Il gruppo presieduto da Albiera Antinori, figlia del presidente onorario Piero Antinori, precede in graduatoria Frescobaldi, salito lo scorso anno da 97 a 101 milioni di euro. Al terzo posto si consolida il gruppo Lunelli, per effetto di una crescita double digit (+14,4%) che ha permesso ai proprietari dell’azienda spumantistica Ferrari e delle tenute Lunelli di avvicinarsi al ristretto club dei 100 milioni, salendo da 84 a 96 milioni di ricavi. La speciale graduatoria della redditività vede ancora una volta il dominio di Tenuta San Guido, che opera nel mercato con il ‘leggendario’ brand Sassicaia, il cui ebitda già stratosferico (55,2% nel 2015) è ulteriormente cresciuto raggiungendo una quota del 55,9% sul fatturato. In evidenza per marginalità, oltre a San Guido e alla stessa Antinori, anche Jermann, realtà del Collio (Friuli Venezia Giulia) che sfiora il 46%, e altre quattro aziende capaci di superare la soglia del 30% nel rapporto ebitda/ricavi: si tratta di Frescobaldi (che comprende i luxury brands Ornellaia, Masseto e Luce della Vite), Ca’ del Bosco (controllata dal gruppo Santa Margherita), San Felice (di proprietà del gruppo assicurativo Allianz) e dell’azienda spumantistica Monte Rossa (in Franciacorta).
CREARE VALORE
Cresce di più chi fa grandi vini. I dati confermano che la strada del valore è necessaria per aumentare il posizionamento del vino italiano nei mercati internazionali, dove la Francia sta vincendo la sfida, anche laddove l’Italia era leader. Nei primi nove mesi di quest’anno, i produttori francesi hanno superato gli italiani negli Usa, portando via lo storico primato dell’export nel più importante mercato mondiale. Ma quanti player potranno affrontare questo percorso? Renzo Cotarella, amministratore delegato di Marchesi Antinori, è fiducioso. “Molte altre aziende italiane – afferma – si stanno muovendo nella giusta direzione ossia la creazione di valore. Solo così il vino italiano potrà raggiungere lo status che merita”. Il gruppo fiorentino si attende a fine anno un’ulteriore crescita del 3-4% e conferma le strategie in essere, fondate su una crescita moderata, sul posizionamento alto e su una visione internazionale del mercato. “L’obiettivo rimane sempre quello di continuare a produrre, cercando anche di migliorare dove possibile, vini di grande qualità, carattere, e che riflettano al meglio il territorio dove vengono prodotti” afferma Cotarella, sottolineando che Antinori non ha intenzione di effettuare ulteriori acquisizioni. “Già abbiamo aziende in territori bellissimi, che meritano di essere valorizzate ulteriormente e che richiedono tutto il nostro impegno e la nostra dedizione”, conclude. Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola e numero uno di Federvini, pone l’accento sul valore non solo come sfida, ma come necessità del vino italiano. “La superficie vitata del nostro Paese – afferma l’imprenditore veronese – non può crescere significativamente in ettari a seguito delle normative europee. L’Italia del vino per le sue naturali vocazioni, per il riconoscimento e per la distribuzione acquisita a livello globale, ha invece ampie possibilità di crescita. Se non può essere una crescita dimensionale, dovrà essere valoriale”. A conferma di questa tesi, Boscaini cita uno studio commissionato da Federvini a Censis: “Lo studio dimostra che se l’Italia vendesse all’export con il valore medio a litro dei vini francesi, i nostri 5,6 miliardi di esportazione sarebbero più che raddoppiati”. Intanto, Masi Agricola, prima realtà vitivinicola di alta gamma quotata alla Borsa di Milano, nel secondo semestre 2017 ha invertito la rotta dopo un inizio in negativo, e nei primi nove mesi evidenzia un progresso dell’1% in termini di ricavi. In prospettiva, spiega l’amministratore delegato Federico Girotto, ci sono spazi per ulteriori acquisizioni (l’ultima è stata conclusa un anno fa, con il 60% di Canevel), rese possibili anche dalla marginalità elevata di cui dispone la società. A proposito di acquisizioni, Terra Moretti ha messo a segno nel 2016 la più importante performance di fatturato anche grazie alle operazioni con cui si è assicurata la proprietà di Sella e Mosca in Sardegna e di Teruzzi & Puthod in Toscana. “Presidiare in modo strategico e continuativo un mercato estero richiede certamente importanti investimenti nel lungo periodo, che solo le realtà più strutturate possono garantire”, sostiene la CEO Francesca Moretti. “In tal senso, è una sfida che pochi sono in grado di sostenere. Per questo abbiamo voluto al nostro fianco, quale partner in Terra Moretti Distribuzione, una realtà quale Nuo Investiment Capital, per poter sviluppare una strategia efficace indirizzata ai diversi mercati dell’Estremo Oriente, a cominciare da quello cinese”.
LAVORO DI SQUADRA
Certamente, al di là delle azioni delle singole aziende legate al rafforzamento del brand e del posizionamento, i francesi sono stati maestri nel comunicare al mondo le loro unicità, utilizzando i territori più prestigiosi come Champagne e Bordeaux per trasmettere un’idea di lusso che ha poi trainato l’intero settore. In Italia, invece, la promozione è stata gestita male, rinunciando a una visione di sistema che, facendo leva sulle denominazioni più famose a livello internazionale (Brunello di Montalcino, Chianti Classico e Barolo per la fascia alta, Pinot grigio e Prosecco per quella media), fosse in grado di trainare anche quelle sconosciute ai più. Un richiamo, in tal senso, arriva da Castello Banfi, storica azienda di Montalcino, proprietà di un gruppo specializzato nella distribuzione dei vini negli Stati Uniti e amministrata da Enrico Viglierchio. “Il valore del vino italiano – afferma l’AD – non può prescindere da un’attenta, puntuale e strategica valorizzazione dei suoi molteplici territori di origine verso il consumatore finale. Non è una sfida impossibile, se tutti gli attori lavorano in modo coordinato. I distretti territoriali dovrebbero essere il primario incubatore economico-culturale ove sviluppare un progetto agroalimentare comune”.
di Andrea Guolo