Il CEO di Rinascente, a pochi giorni dall’apertura romana, spiega la strategia di gruppo per attirare i clienti. Anzi, i visitatori. Perché chi entra in negozio, prima ancora di acquistare, deve essere “intrattenuto”.
Nessuna paura della crisi dei mall americani. Quelli sono ‘non luoghi’, qui puntiamo a essere intrattenitori”. Pierluigi Cocchini, CEO di Rinascente, ha le idee chiare sul ruolo del negozio del futuro: noia e ripetitività messe al bando; investimenti per stupire i visitatori. Con questa formula, il gruppo da 520 milioni di ricavi l’anno e un ebitda all’8% ha rilanciato pesantemente sul retail reale. Aprendo, a metà ottobre, dopo 11 anni di lavori, il suo secondo flagship, a Roma. Un avamposto che vuole essere, dice Cocchini, un “magnete” anche grazie alla scommessa sulle app. In attesa di capire quale sarà la strada dell’e-commerce.
Cosa rappresenta per voi l’apertura capitolina?
Un momento emozionante. Siamo presenti a Roma dalla fine dell’800, ma non con un vero e proprio flagship. Sia i turisti sia i locali chiedevano a gran voce un department store in cui tutte le categorie merceologiche fossero trattate con la dovuta importanza. Li abbiamo ascoltati e abbiamo di fatto colmato un vuoto.
Ci sono differenze con il vostro storico punto vendita di Milano Duomo?
Sì, perché non abbiamo voluto fare un ‘copia-incolla’. Innanzi tutto, dal punto di vista architettonico, il colpo d’occhio è parecchio differente. Lo store romano collega ben 5 palazzi, cosa unica al mondo, ha due facciate e altrettanti ingressi e terrazze con vista sul Vaticano e sul Quirinale. All’interno, c’è un palazzetto nel palazzetto, e nel basement si trova addirittura un acquedotto, che abbiamo restaurato sotto la guida della Soprintendenza e che è visitabile da tutti i nostri clienti gratuitamente: avete mai sentito parlare di un museo in un grande magazzino? Adesso c’è.
E dal punto di vista del prodotto?
Ogni piano è diverso, non volevamo correre il rischio di annoiare chi entra. Accessori, lingerie e profumeria hanno uno spazio superiore rispetto a Milano, ma direi che tutte le categorie (dal design alla moda) sono ben espresse. La food hall, poi, ospita quattro diversi nomi, da Temakinho a Vivi Bistrot.
Come intendete agganciare i clienti?
A giudicare dall’afflusso nella sola prima settimana dall’apertura, direi che siamo partiti col piede giusto. Abbiamo 14mila metri di spazio e l’obiettivo di attirare tanti visitatori quanti quelli di Milano: 8 milioni all’anno, gli stessi del Louvre. Certo, abbiamo investito molto in tecnologia. Per esempio, i turisti avranno un’area dedicata per effettuare tutte le procedure di tax free in maniera agile e veloce, ottenendo subito il refund. E anche a Roma sarà disponibile il nostro customer service 2.0 via Whats App.
Degli 8 milioni di visitatori l’anno quanti sono stranieri?
Poco meno della metà. Una cifra molto interessante, anche se Rinascente non vuole essere una meta solamente turistica. Ragioniamo sempre in doppia chiave: per i locali e per gli stranieri. Di quest’ultima categoria, comunque, a darci le maggiori soddisfazioni sono cinesi e russi.
Il lancio dell’e-commerce è al vaglio?
Sicuramente, ma non posso ancora condividere né i modi né i tempi di questa operazione. Stiamo portando avanti riflessioni a tutto campo con gli altri flagship che abbiamo in Europa e in Thailandia, oltre che con le altre catene del gruppo (Rinascente fa capo dal 2011 ai thailandesi di Central Retail, ndr).
Il momento nero dei department store d’Oltreoceano fa paura?
No, perché trovo ci sia una forte differenza tra le catene europee e quelle americane. Negli Stati Uniti si fanno politiche di prezzo spesso errate, con sconti troppo frequenti che dimostrano di non credere nei prodotti. E poi i retailer americani sono diventati dei ‘non luoghi’, anche un po’ tristi. Qui in Europa è diverso.
E della crisi dei negozi in Italia cosa ne pensa?
Che la gente ne abbia abbastanza di vedere troppe cose e tutte uguali. C’è bisogno di intrattenimento, e di coccolare il cliente: noi lo sappiamo fare.
di Caterina Zanzi