Le collaborazioni tra fashion blogger e brand prevedono sempre meno contenuti scritti. Per ‘vendere’ bastano gli scatti sui social, spesso arricchiti di vita privata.
Instagram batte il blog, l’immagine batte la scrittura. Non ha dubbi Alessandra De Siena, partner di Digital Brand Architects (Dba), agenzia internazionale di consulenza e managment di talenti digitali, intervistata da Pambianco Magazine: la comunicazione della moda, se affidata agli influencer, si basa quasi esclusivamente sui social media, dove l’immediatezza delle fotografie rende queste ultime il contributo per cui un’azienda è disposta a spendere. Top secret l’investimento medio, anche se i compensi di chi spopola sul web “sono cresciuti progressivamente”. A differenza di quanto accade per i settori della bellezza e della cucina, nel mondo fashion il blog post è superato, e pochissimi sono coloro che ancora si dilettano con la scrittura. Outfit e stili di vita ‘si vendono’ a colpi selfie. Secondo l’agenzia, alla base di una strategia vincente c’è la coerenza tra il posizionamento di un marchio e di un personaggio, mentre il numero di follower non è garanzia di successo.
Se prima si chiedeva un post su un blog, oggi c’è il dominio delle immagini. Cosa viene richiesto a un blogger?
Confermo questo tipo di cambiamento. Solo cinque anni fa quello che veniva richiesto era il blog post. Oggi a dominare, nel mondo della moda, è Instagram, quindi un contenuto più visuale e immediato. In altri settori non è così. Se si osserva il beauty o la cucina ci si rende conto di quanto ancora siano preponderanti i contenuti scritti e i video tutorial. Nel fashion, il rapporto percentuale vede un 80% di immagini, contro un 20% di contenuti scritti.
Oggi le aziende cercano figure affermate o vale l’effetto novità di volti emergenti?
Dipende molto dal prodotto e dalla coerenza dell’immagine di un influencer con quel prodotto. Ogni figura ha un proprio posizionamento, che spazia dal lusso al mass market. Quello che le aziende ancora faticano a capire è che non è il numero di follower che conta, ma il posizionamento di una figura, perché è da lì che si ricava credibilità. La strategicità delle collaborazioni è proporzionale alla coerenza di messaggio, a prescindere dai follower. Come avviene lo scouting? Su quali criteri si basa? Sono uguali per uomo e donna? A fare la differenza sono l’immagine, l’analisi sul tipo di pubblico che uno ha, sul suo target, criteri che sono uguali per uomo e donna. Il ruolo di aziende come la nostra è quello di posizionare e far conoscere delle personalità e metterle in contatto con realtà adatte a una collaborazione.
La vita privata di queste figure ha una sua appetibilità in questo senso?
L’inclusione della vita privata dipende dalle scelte del singolo influencer. Ognuno decide quanto vuole mostrare. Di certo, la componente affettiva ha un grosso seguito sui social.
Quale è il budget medio che le aziende destinano a blogger e influencer?
Non posso condividere questo tipo di dati. La percentuale di budget marketing poi varia da azienda ad azienda. Possiamo dire che i compensi sono cresciuti progressivamente nel corso del tempo.
Come è ripartito il budget tra blog e social?
Nella moda è quasi tutto social, direi anche qui un 80% del budget è a vantaggio dei social. Per l’abbigliamento vengono chieste praticamente solo immagini. Sugli accessori invece troviamo ancora una parte di contributo scritto.
Come viene monitorato il risultato?
Ci sono software in grado di calcolare le interazioni, la viralità di un messaggio e, di conseguenza, il return on investment. Si tratta di algoritmi che calcolano repost e viralità non solo sui social, ma anche sui magazine online.
C’è una relazione tra budget dedicato e risultato ottenuto?
Tutte le figure hanno dei prezzi definiti, determinati dai diversi livelli di professionalità. Un’azienda non paga di più o di meno. Se non c’è la cifra richiesta non si lavora con una figura.
di Giulia Sciola