Nel primo trimestre del 2017, i CEO in rosa nelle aziende moda e lusso hanno già superato i numeri degli interi 2015 e 2016. è il segno di un cambio culturale.
A dispetto di qualsiasi scelta firmata Pantone, che vede nel greenery (una tonalità tra il verde e il giallo) il colore dell’anno, è il rosa la nuance di cui si tingono le strutture manageriali della moda nel 2017. Da inizio anno, infatti, le aziende del fashion e del lusso hanno dato vita a un trend che vede le professionalità di sesso femminile assumere le alte cariche del management aziendale. Rispetto agli anni passati, negli ultimi tre mesi è evidente il cambio di passo nella scalata ai vertici. Peraltro, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Nello specifico, si registra un’impennata della promozione alla carica di amministratore delegato. Quest’ultima, in inglese CEO (chief-executive-officer), ha infatti la più alta responsabilità all’interno dell’azienda e la scelta di una donna per tale ruolo è sintomatica di una palpabile evoluzione verso la parità di genere.
IL 2017 È DONNA
La carrellata dei riconoscimenti di massimo prestigio (otto tra gennaio e febbraio) si apre con Sofia Ciucchi, nominata, in gennaio, AD de Il Bisonte. La manager, laureata in economia all’Università Bocconi, ha iniziato la sua carriera come analista di organizzazione nel gruppo Bosch e in BTicino, per poi passare in Salvatore Ferragamo dove, per più di vent’anni, ha ricoperto diversi ruoli, fino a diventare, dal 2012, vice direttore generale. Sempre in gennaio, segue la nomina di Simona Clemenza come nuova chief-executive-officer di Krizia, il brand italiano acquistato dalla imprenditrice cinese Zhu Chongyun, tra le venticinque donne più influenti nel fashion business internazionale e fondatrice del gruppo Shenzhen Marisfrolg Fashion. La Clemenza, torinese classe 1973, vanta esperienze professionali in Blumarine e Gianfranco Ferré. Dal 2006 al 2012 è stata inoltre direttore commerciale wholesale & franchising del gruppo Kenzo, per poi ricoprire la carica di vice presidente del settore global sales & licensing del brand di Karl Lagerfeld. Febbraio, invece, si è aperto con la promozione di Fran Horowitz a nuovo CEO di Abercrombie & Fitch. La Horowitz ha assunto l’incarico dopo aver rivestito, all’interno dell’azienda, il ruolo di presidente e chief merchandising officer. La stessa era giunta nel mondo A&F nel 2014, in qualità di presidente del brand costola Hollister. In concomitanza, Barneys New York ha posto al timone, sempre in qualità di CEO, Daniella Vitale, ex chief operating officer del department store e qui approdata nel 2010, in qualità di chief merchant ed executive vice-president. Il valzer continua con Chabi Nouri, scelta come nuovo AD di Piaget (con carica effettiva da aprile 2017). La manager è entrata nel brand di orologeria e gioielleria di lusso nel 2014, prima come global brand equity, marketing jewellery e communication director e poi, dal 2016, come international managing director sales & marketing. In precedenza, la Nouri aveva lavorato presso Cartier (anch’essa appartenente al gruppo Richemont). Sempre a metà febbraio, Ports International Enterprises ha scelto Jenny Tan in qualità di CEO di Ports 1961. La Tan, già membro del board, era arrivata in Ports venti anni prima, con responsabilità nei settori marketing e distribuzione. Ad aggiungersi all’elenco di febbraio anche il fashion retailer inglese Boden , il quale ha nominato Jill Easterbrook come nuovo CEO, dopo che la stessa aveva maturato un’esperienza di quindici anni da Tesco per poi approdare come non executive director da Auto Trader Uk. Infine, chiusura col botto (fino a questa parte dell’anno). Anche una griffe storica come Céline ha scelto come proprio CEO Séverine Merle (con carica effettiva dal prossimo aprile). La manager, attualmente vice-president di Berluti, ha lavorato, in precedenza, presso Louis Vuitton, prima come merchandising director e poi come direttore generale Francia.
LE NOMINE DEL 2016 E 2015
Una consistente serie di nomine che, come detto, supera quelle del 2016, anno che, in base ai dati rilevati, conta sei donne nominate nel ruolo di amministratore delegato, una scelta come direttore generale e una come presidente. L’anno scorso, infatti, tra le nomine femminili ad amministratore delegato, è stata rilevata quella di Francesca Ginocchio alla guida della divisione italiana di Swatch Group, quella di Pascale Lepoivre da Loewe, di Gabriel de Linage da Loris Azzaro, di Jill Layfield da Tamara Mellon, Wendy Kahn da Stuart Weitzman e Sophie de Rougemont da Carven. Maryline De Cesare, invece, è stata scelta come direttore generale della filiale italiana di Parmigiani Fleurier mentre Veronique Gabai-Pinsky è diventata presidente di Vera Wang. Il 2015, ha visto sei nomine in rosa a CEO: Sabina Belli da Pomellato; Trino Verkade da Mary Katrantzou; Hélène Poulit-Duquesne da Boucheron; Claudia Cividino da Bally, come CEO delle Americhe; Federica Marchionni da Lands’ End (carica lasciata a fine 2016); e Grita Loebsack, arruolata alla guida di tutti i marchi emergenti del polo “Luxe – Couture & Maroquinerie” di Kering (ha però lasciato neanche un anno dopo). Nel ruolo di general manager, invece, la carica da segnalare è quella di Simona Zito scelta, per l’Italia, da Chopard.
NUMERI A CONFRONTO
L’accelerazione delle CEO nella moda è ancora più rappresentativo se confrontato con lo scenario generale. Secondo l’organizzazione no profit Catalyst, tra le società dell’indice S&P 500 (che raccoglie le 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione), a gennaio 2017, solo il 5,8% (ovvero 29/500) ha un CEO donna. Per quanto riguarda l’Italia, invece, i dati elaborati da Centro studi del Sole 24 Ore, e riportati lo scorso novembre da 30% Club (campagna globale che promuove una più alta partecipazione femminile nella leadership di organizzazioni private e pubbliche) su un campione di 316 società quotate a Piazza Affari, solo il 6,2% (una ventina) di amministratori delegati è donna. Mentre la presenza femminile nei cda delle società quotate è passata dal 6% del 2011 al 30% (giugno 2016), anche grazie all’introduzione della legge 120/2011 Golfo-Mosca che impone quote di rappresentanza di genere.
di Sabrina Enunziata