A sorpresa, Parigi è la più aperta (45% del calendario agli esteri) davanti a Milano (20%). Londra e Ny le più chiuse. I veri globetrotter sono i designer cinesi.
Paese che vai, fashion week che trovi? Non è più esattamente così. Il recente risiko tra le capitali della moda, riacceso dai fenomeni del see now-buy now e della sfilata unica, si confronta con differenti situazioni di partenza. E, talvolta, anche con convinzioni non sempre corrette sul dna delle diverse fashion week. Per questo, Pambianco Magazine ha esaminato i calendari delle sfilate di Londra, Milano, New York e Parigi. Dall’analisi emergono conferme, ma anche sorprese interessanti. Da sempre, il confronto tra le cosiddette “big four”, le quattro capitali della moda, è sulla base del prestigio delle maison in passerella, con una maggior concentrazione di nomi storici tra la Francia e l’Italia, e nuove promesse del fashion che, invece, calcano le passerelle anglosassoni. Insomma, Milano e Parigi davanti a tutti. La sorpresa è che la ‘classifica’ si ripete anche impostando il confronto sul grado di internazionalità delle diverse manifestazioni. I calendari, infatti, rilevano la più alta percentuale di griffe provenienti dall’estero all’ombra della Tour Eiffel, dove il prêt-à-porter donna per l’autunno/inverno 2017-18 può vantare un 45% di marchi stranieri in passerella, contro il 20% di Milano, il 10% di New York e il neanche 9% di Londra.
PARIGI CAPUT MODAE
A vantaggio della capitale francese, oltre al primato storico per il debutto dei défilé, c’è la tradizione dell’alta moda, che negli anni ha portato molte aziende straniere (è il caso, ad esempio, delle italiane Valentino e Giambattista Valli) a scegliere la Ville Lumière anche per le sfilate ready-to-wear. Per quanto distinto, il calendario dell’alta moda è di per sé catalizzatore di nomi dall’estero: nelle ultime stagioni il Comité de Direction de la Chambre syndicale de la Haute Couture ha infatti esteso la lista dei membres invités agli italiani Francesco Scognamiglio e Antonio Grimaldi, oltre, tra gli altri, a Galia Lahav (Russia), Georges Hobeika (Libano), J. Mendel (Stati Uniti), Ilja (Olanda), Iris Van Herpen (Olanda) e Guo Pei (Cina). Con quest’utlima, in particolare, a fine 2015 le sfilate d’alta moda hanno aperto per la prima volta le porte a una stilista cinese, accendendo i riflettori su una nuova generazione di designer, che oggi sono la presenza straniera più rilevante delle quattro manifestazioni. Dal canto suo la fashion week di Milano, in passato erroneamente ‘accusata’ di scarsa internazionalità, si dimostra aperta e promotrice dell’arrivo di griffe e creativi da tutto il mondo. “A Milano – ha raccontato a Pambianco Magazine Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi) – si registra da tempo una buona percentuale di brand stranieri, soprattutto tra gli emergenti. Nel Fashion hub market (progetto a sostegno dei brand più giovani, per lo più ospitati nell’Unicredit Pavillion, ndr) abbiamo accolto molti nomi provenienti dall’estero. E anche in passerella. Si pensi a Vionnet che da Parigi si è spostato a Milano, o alle sfilate all’interno di White, abbiamo un buon numero di stranieri”, ha concluso Capasa.
LONDRA FA QUADRATO
A Londra il calendario delle sfilate donna appena concluse, invece, ha registrato una presenza limitata di griffe dall’estero. Nella capitale inglese, infatti, pur non mancando iniziative dal respiro cosmopolita (si pernsi all’International Fashion Showcase, presentazione che riunisce le creazione di designer stranieri emergenti e che apre al pubblico gli spazi della Somerset House), le partnership internazionali sembrano nettamente a vantaggio della promozione del made in England. Un esempio, sull’asse Londra-New York, è l’accordo tra il British Fashion Council (Bfc) e il luxury retailer americano Barneys, che nelle scorse settimane ha ospitato, nelle vetrine del suo store in Madison Avenue, solo marchi del Regno Unito. “Londra è un luogo di celebrazione internazionale della moda e della creatività”, ha dichiarato Sadiq Khan, sindaco della città, lo scorso gennaio in apertura delle sfilate maschili. Il calendario della London fashion week riflette il meltin pot culturale della società inglese, con designer nati fuori dai confini britannici ma che, dopo gli studi nelle più note scuole di moda del Paese, hanno fondato il proprio brand in Inghilterra. Meno frequenti che sul Continente, però, i casi di incoming di aziende basate in altri Paesi. “In questo momento più che mai – ha spiegato alla stampa Caroline Rush, chief executive del Bfc, interrogata sul clima di incertezza post-Brexit – stiamo lavorando con tutti i nostri partner in giro per il mondo per promuovere i nostri talenti”. A invogliare gli addetti ai lavori potrebbe contribuire la chiarezza dei calendari. Patria della ‘rivoluzione Burberry’, tra le prime maison al mondo ad adottare il ready-to-buy e ad annunciare il passaggio alla sfilata unica, la London fashion week ha infatti adottato, prima fra tutte, le sigle ufficiali SN/BN (see now-buy now) per le collezioni per cui è prevista la vendita subito dopo lo show e M/W (menswear e womenswear) per le griffe che optano per la sfilata unifica.
LA COSTANTE CINESE
Vivienne Tam a New York, Xiao Li a Londra, Annakiki e Ricostru a Milano, Uma Wang, Masha Ma e Shiatzy Chen a Parigi. Questi sono solo alcuni dei nomi di designer che dall’ex Celeste Impero hanno inziato a imporsi sulla scena internazionale, con schedule delle fashion week. Tra le città più influenti del fashion system cinese, lo scorso settembre Shenzen ha ad esempio rinnovato il proprio gemellaggio con New York, Londra e Milano, portando in passerella nelle diverse location big names e giovani creativi d’Oriente, grazie al progetto della Shenzhen Garment Industry Association. Negli Stati Uniti l’accordo tra Img, società che organizza la rassegna di passerelle a stelle e strisce, l’ente cinese prevede, oltre all’alestimento di show e presentazioni per le collezoni dei designer asiatici nella Grande Mela, anche attività congiunte di potenziamento della Shenzhen fashion week. Attiva dal 2011, per Milano, anche la partnership tra Cnmi e Cfa-China fashion association, protocollo d’intesa che, negli anni, ha favorito lo scambio e l’ospitalità reciproca di creativi. Va in questa direzione, inoltre, la partneship con Mercedes-Benz che, nell’ambito dell’International Designer Exchange Program, ha portato in Italia, per l’edizione in corso di Milano Moda Donna, la stilista cinese Angel Chen e presenterà a Pechino, in occasione della Mercedes-Benz China fashion week del prossimo marzo, la designer italiana Vivetta Ponti. È ancora una volta un designer orientale, infine, il guest di Giorgio Armani, che in collaborazione con Cnmi, ha chiamato a sfilare negli spazi dell’Armani Teatro il cinese Xu Zhi, tornando al format dello show individuale dopo la sfilata collettiva di gennaio, dedicata a tre talenti di provenienza internazionale.
di Giulia Sciola