Dopo una carriera nei principali poli italiani della moda, è oggi un consulente di lusso “in attesa di nuove sfide”. Anche perché il Paese è “in un momento da sfruttare”. Il problema? Riuscire a creare aggregazioni vincenti, anche se “abbiamo perso 15 anni di occasioni”.
L’Italia non è un Paese di grandi gruppi e aggregazioni, ma è comunque un luogo ricco, oggi più che mai, di appeal. Peculiarità che i brand, tanto del lusso quanto di altri settori, devono sfruttare. è quanto detto da Michele Norsa, alla guida di Feragamo fino a qualche mese fa e oggi componente di diversi board di gruppi del lusso, al 21° convegno Pambianco Deutsche Bank. Intervistato da Enrico Mentana, ha dato la sua versione sull’Italia e sulle opportunità delle accelerazioni culturali.
Alla luce della sua esperienza, come sta il settore in Italia?
Confermo il momento di winner e loser. Oggi si va in una fase in cui ci saranno crescite più piccole e molta attenzione alla redditività. Inoltre, bisogna aggiungere che l’Italia, ad oggi, non è stata in grado di fare aggregazioni e non c’è stato alcun catalizzatore, contrariamente alla Francia, dove ci sono i grandi gruppi che hanno acquistato molti brand italiani. Dal punto di vista di marchi e appeal, invece, forse stiamo facendo meglio degli anni passati. L’appeal dell’Italia non è mai stato così forte e credo sia il momento di sfruttarlo.
Possiamo dire che l’immagine dell’Italia abbia superato, al momento, la capacità attrattiva del singolo marchio?
In un certo senso, sì, e tutto va riportato al consumatore. Nel momento dell’emersione dei nuovi mercati, i nuovi consumatori, come cinesi, indiani, russi, erano attratti dal logo e dal marchio e mancavano di interesse culturale. Negli ultimi anni, invece, le nuove generazioni hanno appreso e riscoperto le bellezze dell’Italia, come il cibo, l’ospitalità, il lusso e bisogna che i marchi sappiano seguire questo nuovo trend. La gente è piu sofisticata e va oltre il semplice logo.
Cosa pensa dell’applicazione del 4.0 al settore?
Ero a Shanghai e c’erano imprenditori che in questi anni, dal punto di vista della velocità e della tecnologia, hanno fatto cose che noi nemmeno possiamo immaginare. Pensare di andare noi a vendere velocità o tecnologia produttiva è difficile. Dobbiamo sì renderci capaci di avere una base che non ci consenta di essere piu lenti degli altri, però dobbiamo continuare a vendere il sogno. Noi siamo marchi che vendono i sogni, e le persone che comprano i nostri prodotti lo ricercano, anche attraverso internet dove il consumatore cerca la stanza che vuole, con la vista desiderata, e la borsa in coccodrillo che si compra ogni tre anni.
Nel settore dell’eccellenza bisogna comprare il sogno.
Sì, e bisogna comunciarlo con garbo. Perché alla fine anche la bottiglia d’olio può essere lusso. Il lusso è nel singolo prodotto e l’Italia è percepita come il Paese che ha sempre saputo fare le cose con una certa delicatezza e capacità. Chi viene in Italia viene ad apprezzare le singole differenze, le quali non vanno perse. L’importante è non diluire il marchio, perché, una volta diluito, ritrovare quello che era il posizionamento iniziale è difficile.
In Italia, potremmo mai avere i grandi conglomerati del lusso?
È difficile immaginarlo. Abbiamo perso gli ultimi 15 anni, periodo in cui alcune grandi aziende avrebbero potuto aggregarsi ma non l’hanno fatto. A oggi non ci sono né persone né istituzioni finanziarie che siano in grado di attivare questi processi.
È possibile immaginare che alcune realtà del lusso italiane possano sopravvivere ai loro fondatori. Queste, tra dieci anni, potranno “competere” con i grandi gruppi?
Potrebbero. Ma il problema è che se pensiamo ad aggregazioni quali Kering e Lvmh, la differenza di dimensioni è ingente. Sicuramente cresceranno, ma raddoppiare i fatturati nei prossimi tre o cinque anni è davvero difficile. Penso che ad oggi in Italia sia importante spingere la fascia delle piccole e medie imprese, ma sarebbe anche bello vedere una capacità e volontà di aggregazione trasversale. Questo sarebbe il segnale della capacità del Paese di superare l’eccellenza dei piccoli e riuscire ad esprimerci. Non solo nel lusso ma anche nel design e arredamento, dove siamo leader assoluti. È una speranza.
di Sabrina Nunziata