Export 2015 a 90 mln? Troppo poco, e di basso posizionamento (3,3 euro al litro). Tra chi rilancia ci sono Zonin, Argiolas, Mezzacorona e il consorzio del Prosecco.
In Cina siamo poco oltre l’anno zero. “Tra i principali mercati di consumo, è quello in cui il vino italiano sta posizionato peggio”, riconosce Domenico Zonin, presidente di Casa Vinicola Zonin e dell’Unione Italiana Vini, associazione che raggruppa cinquecento aziende di settore. I dati confermano, nonostante un progresso del 18% nell’export 2015, la debolezza tricolore nel Paese più popoloso del mondo: il giro d’affari dell’Italian wine è di circa 90 milioni di euro contro i 556 della Francia e i 113 della Spagna. Inoltre, il tasso di crescita del vino italiano risulta inferiore rispetto a quello francese e ancor più rispetto a quello australiano, che ha fatto segnare in dollari un progresso del 77 per cento. A completare il quadro non brillante ci pensano i valori di prezzo medio: siamo a circa 3,3 euro al litro, posizionamento del tutto inadeguato al prestigio che il nostro vino ha acquistato nei mercati chiave dell’export, a partire dagli Usa.
DIVISI E CONFUSI
Gli errori nell’approccio sono ormai riconosciuti, in ambito strategico e commerciale. L’Italia del vino si è presentata divisa, tentando di ottenere risultati con denominazioni sconosciute e perfino ostiche agli occhi del consumatore cinese, mentre i francesi hanno fatto sistema, puntando sui loro prodotti premium, che hanno trainato anche le altre denominazioni. Le aziende italiane non hanno potuto disporre, peraltro, di un partner chiave in altri Paesi del mondo: la nostra ristorazione, canale di accesso per abbinamento tra vini e cibo. C’è, infine, un limite dimensionale, come ha sottolineato a Pambianco Magazine il primo produttore cinese di vino, Changyu (società controllata da Illva Saronno), per voce del suo direttore generale Jian Sun: “I cinesi non hanno familiarità con i nomi dei vini italiani, perciò stentano ad avvicinarsi. I francesi, probabilmente perché dotati di maggiori risorse, hanno investito di più e in maniera efficace”, afferma il manager del gruppo da 4,15 miliardi di renminbi di ricavi, pari a 575 milioni di euro al cambio attuale.
VERSO LA SVOLTA?
Il 2016 promette di essere l’anno della svolta nei rapporti con la Cina, e non soltanto per l’atteso meeting in agenda a Vinitaly tra il premier Matteo Renzi e il re dell’e-commerce Jack Ma, il cui gruppo Alibaba sta investendo con decisione nel wine business tramite la piattaforma Tmall che ha stretto accordi, tra gli altri, con la californiana Robert Mondavi. Aziende e consorzi stanno mettendo in pista nuove iniziative per conquistare l’ex Impero Celeste, che vanno da filiali estere ad agenzie di rappresentanza fino ad accordi tra produttori per fare business con il supporto della formazione tra gli addetti ai lavori. Un esempio arriva dalla creazione della Taste Italy Wine Academy, prima scuola del vino per privati promossa da Business Strategies, che ha debuttato questo mese a Shanghai ed è fully booked fino a luglio. Quanto alle aziende, va segnata l’apertura sempre a Shanghai di Zonin China, terza business unit estera avviata dal gruppo di Gambellara (Vicenza) dopo quelle in Usa e Gran Bretagna, che diventa la base operativa per tutto il Far East.
QUELLI CHE CI CREDONO
Argiolas, che opera in Cina da 17 anni appoggiandosi a un importatore francese, ha inserito un brand manager con base a Hong Kong, condiviso con altri due produttori italiani (Tasca d’Almerita e Ceretto), che gestirà il sudest asiatico. “La crescita è lenta e difficoltosa – racconta Valentina Argiolas – anche perché i vini di regioni poco conosciute come la Sardegna sono penalizzati rispetto, per esempio, a quelli di Toscana o Piemonte. Inoltre, è un mercato molto costoso per effettuare efficaci azioni di marketing. Non molliamo, consapevoli che i risultati si raccolgono a medio/lungo termine”. Una nuova modalità è quella avviata dal consorzio del Prosecco doc, che ha aperto un’agenzia di rappresentanza a Xi’an, dove c’è meno concorrenza rispetto all’area costiera e che costituisce, secondo il presidente Stefano Zanette, la nuova zona economica strategica per lo sviluppo della Cina occidentale. “Partiamo da poche bottiglie, l’1% del nostro export complessivo, ma cresceremo attraverso formazione e informazione, in collaborazione con la locale facoltà di Enologia. Abbiamo un vino che fa tendenza nel resto del mondo e i giovani cinesi, che viaggiano più di noi, hanno senz’altro voglia di assorbire i trend che osservano negli Usa, a Londra e nelle altre grandi città occidentali”. Il gruppo Mezzacorona, che realizza l’80% del proprio fatturato con le vendite estere, da alcuni anni ha focalizzato il mercato cinese come strategico per le bollicine Rotari Trentodoc e per la sua gamma di vini trentini. “Gli spazi sono notevoli ma la Cina richiede serietà e velocità, occorre superare le barriere linguistiche e culturali, essere in grado di interfacciarsi con diverse modalità di gestione della commercializzazione” afferma il direttore generale del gruppo, Fabio Maccari. Mezzacorona dal 2013 opera in Cina con un resident manager stabile, che ha il compito di sviluppare le attività e di far crescere distribuzione e notorietà dei marchi. “I risultati ci stanno dando soddisfazione – continua Maccari – non solo per quanto riguarda le grandi catene della Gdo presenti in Cina ma anche nell’horeca, specialmente con Rotari Trentodoc che ha espresso ottime performance; da tenere presente che, per quanto riguarda proprio la Cina, pensiamo possa avere un discreto ritorno anche l’e-commerce e voglio segnalare che da alcuni mesi siamo su Amazon China proprio con il brand Rotari”.
di Andrea Guolo