Gli Stati Uniti sono il primo mercato per l’export del vino italiano. I gruppi più strutturati investono direttamente, per stringere il rapporto con il retail.
L’importatore non basta più. I gruppi leader del vino italiano scelgono di affrontare direttamente gli Usa, aprendo filiali e stringendo i rapporti con distributori e retailer per avvicinarsi al cliente finale, capirne le esigenze e cogliere le opportunità di crescita. “Abbiamo investito oltre 15 milioni di dollari tra capitale umano, struttura e magazzino, per un totale di 50 dipendenti destinati a diventare 70 entro la fine del trimestre” dichiara Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Gruppo Santa Margherita, spiegando il percorso che ha portato alla costituzione di Santa Margherita Usa e affidandovi dal 1° gennaio, dopo 37 anni di gestione indiretta, la distribuzione dei vini. Altri 5,5 milioni di dollari sono stati destinati al piano commerciale e marketing comprendente la nuova campagna pubblicitaria che punta a sedurre i cosiddetti millennials, in aggiunta ai target già fidelizzati. “Vogliamo superare l’idea di esclusività che circonda il vino, presentandoci come brand aperto e inclusivo” sottolinea il CEO del gruppo di Fossalta di Portogruaro (Ve), che ha chiuso il 2015 a 118,3 milioni di euro con il 62% di export. Una conferma della tendenza direct arriva da Genagricola, prima società agroalimentare italiana per estensione (Gruppo Generali), che dal 1° gennaio ha affidato alla controllata Montcalm Wines l’incarico di unico distributore per gli Usa dei vini provenienti dalle sue nove tenute, in aggiunta a una parte di wine trading. La mossa, secondo l’ad Alessandro Marchionne, servirà a far crescere soprattutto le vendite dei vini a marchio Torre Rosazza, il cui Pinot grigio nel 2015 è stato l’unico bianco italiano inserito nella top 100 dell’autorevole rivista Wine Spectator. Queste scelte testimoniano l’importanza degli Stati Uniti per il vino italiano, prima destinazione nell’export con una quota pari a circa il 24% sul totale (era il 22% nel 2014) e per un giro d’affari che, sottolinea Denis Pantini di Wine Monitor (Nomisma), nel 2015 è arrivato a 1,53 miliardi di euro (valore delle importazioni di vino italiano negli Usa). L’Italia, negli States, è leader di mercato. Gli Usa, inoltre, hanno superato la Francia nella graduatoria di primo consumatore mondiale di vino e tra i primi quattro in classifica nel 2014 (gli altri sono Italia e Germania) rimangono gli unici a progredire. “Le prospettive di crescita sono rilevanti – afferma Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor (Nomisma) – e la logica adottata da queste e altre società in passato, ad esempio Gruppo Italiano Vini, sono condivisibili: permetteranno di eliminare alcuni passaggi di troppo, controllando i margini che venivano incamerati, e di decidere autonomamente le strategie da mettere in campo, fissando un contatto diretto con il retail”.
di Andrea Guolo