Cnmi presenta le Linee guida della moda eco-sostenibile. Il documento pubblicato da Smi. Il percorso è lungo, spiega Capasa, ma “ci consentirà di fare la differenza”.
Il colpo di scena è arrivato giovedì 3 marzo, quando Sistema Moda Italia ha deciso di pubblicarle sul proprio sito. Nei giorni precedenti, le “Linee guida sui requisiti eco-tossicologici per gli articoli di abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori” erano infatti rimaste top secret. La Camera Nazionale della Moda Italiana, capofila dei soggetti impegnati nella realizzazione della ricerca, aveva addirittura dedicato alla sostenibilità l’evento di chiusura delle sfilate. Ma, in occasione del cocktail ‘A sustainable drink for a sustainable fashion’, il documento era stato ritenuto troppo complesso e delicato per essere condiviso al di fuori delle aziende associate agli enti promotori. Il testo, in effetti, è molto tecnico. È il frutto di un lavoro di analisi e ricerca protrattosi quasi due anni, che ha coinvolto, oltre a Camera Moda e Sistema Moda Italia, anche Altagamma, Federchimica, Associazione Tessile e Salute e Unic, e segna un passo storico in direzione di un’industria responsabile, confermando la sostenibilità tra i pilastri del mandato di Carlo Capasa, sin dal suo insediamento nell’aprile 2015. “Il 41% della produzione di tessile-abbigliamento in Europa fa capo all’Italia. Questo dato ci rende orgogliosi – ha spiegato il presidente di Cnmi durante l’evento di chiusura ‘A sustainable drink for a sustainable fashion’ – ma ci deve anche rendere responsabili rispetto al futuro. Da qui la necessità di un piano d’azione sulla sostenibilità che tenga conto della complessità della nostra filiera”. Capasa ha espresso soddisfazione per la partecipazione al tavolo di lavoro di girffe quali Ermenegildo Zegna, Loro Piana, Gianni Versace, Giorgio Armani, Gucci, Prada e Valentino. “Da qui al 2020 – ha spiegato a Pambianco Magazine – il percorso che abbiamo intrapreso toccherà anche i temi dello sviluppo e della ristrutturazione del retail nei centri storici, della tracciabilità dei prodotti e della sostenibilità sociale”.
IL DOCUMENTO
L’impegno è certificato in una roadmap che analizza più di 350 sostanze chimiche presenti nei prodotti, illustrando anche le loro modalità di utilizzo nelle filiere, mirando a garantire standard di sicurezza superiori a quelli prescritti dalle leggi in vigore, a beneficio dei consumatori e dell’ambiente. Due gli approcci adottati per definire i parametri di riferimento: quello proattivo, che considera i limiti di presenza di residui di sostanze negli articoli, partendo dai requisiti legislativi internazionali (quali il Regolamento Europeo REACH e il Consumer Product Safety Improvement Act negli Usa), ai quali si aggiungono parametri volontari; e quello avanzato che, come si legge sul documento stesso, “considera richieste di settore come obiettivi da raggiungere, in un’ottica di miglioramento continuo, ricercando e attuando le migliori tecnologie disponibili”. Le linee guida tengono ovviamente conto della differenza tra liste di sostanze ristrette sugli articoli e liste di sostanze ristrette nelle diverse fasi di lavoro, auspicando, laddove disponibili, l’utilizzo di miscele sostenibili, pur precisando che “mentre è possiblie garantire il non utilizzo di una sostanza nel processo produttivo, non è scientificamente nè tecnicamente possible garantirne l’assoluta assenza”. Il presidente di Camera Moda è convinto che, per continuare a essere competitivo a livello globale, il made in Italy debba puntare sui valori aggiunti della qualità e del ridotto impatto ambientale, oggi tra i principali criteri di scelta dei clienti finali. “Tra qualche anno, quando sarà affrontato anche il tema dell’origine delle materie prime, avremo un’insieme di regole condivisibili con tutti i Paesi produttori di moda e potremo davvero fare la differenza”, ha continuato il numero uno di Costume National, pronto a scommettere sulla formazione dei player del settore con un programma di seminari. Sulla stessa lunghezza d’onda il commento di Claudio Marenzi, presidente di Sistema Moda Italia: “Stiamo gettando le basi per avviare un dialogo con gli stakeholder internazionali. È un percorso sul quale operiamo già dalla scorsa estate, con l’endorsement istituzionale dell’ex vice ministro Carlo Calenda, che ha instaurato la prima Commissione sulla sostenibilità, ricerca e innovazione della moda italiana. È una necessità sentita dal settore e dal mercato: il 50% dei millennials è sensibile ai temi di sostenibilità quando deve fare un acquisto. Crediamo che che avere standard di produzione uguali e riconosciuti dall’intero sistema produttivo, così come essere coesi e coordinati su temi importanti come la tracciabilità, l’etichettatura e la lotta alla contraffazione, possa rappresentare un punto di forza per la crescita dell’intero settore che, da monte a valle, oggi rappresenta più del 5% del PIL italiano”.
di Giulia Sciola