È il fondatore di Stella International, il colosso cinese delle calzature che macina quasi 2 miliardi l’anno. Produce per i grandi marchi della moda. E adesso ci prova con i suoi. Perchè “Asia ed Europa devono collaborare”.
Quando gli viene chiesto un commento sulla produzione cinese di scarpe che poi, sotto i nomi più blasonati, vengono vendute in Europa, Stephen Chi non si scompone. Anzi, risponde amichevolmente. La stessa cortesia la utilizza per parlare di temi che per molti sono scottanti, come quelli del reshoring verso i Paesi con un costo della manodopera più basso. L’imprenditore cinese che ha fondato il calzaturificio Stella International è abituato alle sfide. La sua è una holding quotata a Hong Kong che macina numeri impressionanti: nel 2015 ha raggiunto 1,7 miliardi di dollari di ricavi e ha assemblato quasi 60 milioni di paia di scarpe. Adesso, oltre a produrre in conto terzi per i marchi della moda e del lusso mondiali, punta a conquistare l’Europa con uno dei suoi house brand, What For, posizionato nel segmento del lusso accessibile. Perché, stando alla visione di Mr. Chi, “Asia ed Europa devono cooperare”.
Quali piani di espansione avete in Europa?
Nonostante il business retail valga attualmente soltanto il 6% del turnover totale, ci siamo prefissati precisi obiettivi di crescita. Siamo arrivati nel Vecchio Continente con What For tre anni fa, precisamente a Parigi, dove abbiamo il nostro headquarter europeo. Il marchio genera in Europa il 60% dei ricavi complessivi mentre la parte restante, in termini di volume, arriva dalla Cina, dove contiamo su 60 monomarca di proprietà. Il mercato in cui siamo più forti è la Francia, dove attualmente abbiamo quattro flagship, con l’intenzione di portarli a nove già entro il primo semestre dell’anno.
E in Italia?
È il secondo mercato europeo più forte insieme alla Germania, ci sono piani ambiziosi. Siamo distribuiti all’interno di 148 multibrand sul territorio (su un totale di 500 multimarca in Europa), e tutto il design del marchio è pensato nel nostro studio a Padova. In Italia sviluppiamo tutta la parte creativa e i prototipi. La produzione, ovviamente, è poi finalizzata in Cina, fatto che ci permette di avere un entry price retail relativamente basso, attorno ai 120 euro. Nascendo come calzaturificio, quello che senza dubbio siamo capaci di fare sono le scarpe.
Per quali marchi producete in conto terzi?
Per quasi tutte le griffe di moda. Da Timberland a Tory Burch, da Michael Kors a Ugg, passando per Prada, Alexander Wang, Miu Miu, Kenzo, Givenchy e Balmain.
Non trova nessun elemento di contrasto tra produzione cinese e commercializzazione europea?
Affatto. Anzi, penso che nel mondo del futuro bisognerà entrare sempre più in sinergia. Asia ed Europa devono collaborare per realizzare i prodotti migliori.
Anche la produzione in Cina sta vivendo una fase di cambiamento, tanto che di recente avete tagliato circa 200 posti…
La politica del figlio unico non ha giovato. I cinesi che vogliono lavorare sono sempre di meno. Per questo ci stiamo muovendo verso altri Paesi, su tutti Bangladesh, Vietnam, Filippine e Indonesia. Non tagliamo posizioni, semplicemente le riallochiamo dove c’è domanda di lavoro.
di Caterina Zanzi