Il presidente di Kering Eyewear racconta la nascita del polo interno al colosso francese del lusso. E gli obiettivi: “In tanti pensano a un game changer. Ma faremo qualcosa di diverso”.
L’avventura di Kering nell’eyewear prende sempre più forma. A un anno e mezzo dalla costituzione della società Kering Eyewear, che vede la gestione dell’occhialeria del gigante del lusso internalizzata, si osservano i primi frutti e si fanno i primi bilanci. In occasione del Mido, Kering Eyewear ha preferito non partecipare alla fiera, accogliendo i propri clienti e presentando le nuovi collezioni, in una dimora storica nel cuore di Milano che ricorda molto l’atmosfera dell’headquarter dell’azienda nel padovano. In questa sede, tra le esposizioni degli occhiali di Bottega Veneta, Brioni, Puma, Stella McCartney e di tanti altri marchi, il presidente di Kering Eyewear Roberto Vedovotto racconta la genesi e i pilastri su cui ruoterà la nuova azienda. Parole chiave: qualità, riconoscibilità del marchio e distribuzione selettiva.
Da cosa è nata l’esigenza di creare un polo eyewear all’interno del gruppo?
Tutto ha avuto origine dalla considerazione che la categoria degli occhiali è estremamente importante nel mondo degli accessori moda e lusso. Il gruppo Kering conta oggi 21 marchi che registrano risultati straordinari e, nell’ottica di creare ulteriore valore, con François-Henri Pinault (alla guida di Kering) abbiamo iniziato a ragionare su quale sarebbe stata la migliore strategia per far sì che la categoria degli occhiali avesse un ulteriore sviluppo. ll mercato dell’eyewear è estremamente importante, è più grande del mercato dei gioielli, degli orologi e dei profumi e soprattutto è in crescita nella parte alta, segmento cui noi ci rivolgiamo. Il gruppo ha già una dimensione rilevante attraverso diversi accordi di licenza che aveva stipulato con i principali player del settore, per cui abbiamo pensato che il migliore modo di andare avanti fosse quello di internalizzare l’eyewear completamente.
Crede che sia una svolta che cambierà gli equilibri del comparto?
Me lo auguro. Credo che molti abbiamo pensato a questa iniziativa come a un ‘game changer’ all’interno dell’industria, ma quello che vogliamo fare è qualcosa di diverso. Non vogliamo essere un’altra azienda che fa occhiali, ma un’azienda del lusso che si occupa di occhiali.
Quali sono i punti di forza di un polo “interno” degli occhiali?
I plus sono quelli che hanno a che fare con un maggior controllo di tutta la catena del valore. Il fatto di essere una realtà interna ci dà la possibilità di essere più vicini ai nostri marchi in tutti i processi della catena. Essere parte di un gruppo del genere ci dà la serenità di avere un supporto importante non solo economico-finanziario, ma anche di collaborazione con i nostri colleghi dei diversi brand.
Ritiene che altri giganti del lusso possano immaginare una strategia del genere?
Credo che per fare un’iniziativa di questo genere bisogna avere un portafoglio di marchi rilevante, in termini di numerosità e di importanza all’interno del settore. In più, bisogna poter contare su un gruppo di persone e di talenti che devono essere pronti per affrontare una sfida del genere. Il tutto accompagnato, in un settore maturo caratterizzato da player con un modello di business tradizionale, da una visione imprenditoriale, che nel nostro caso è unica e che viene sintetizzata dal nostro claim “Empower Immagination”.
Lei è anche socio dell’azienda. Qual è la sua personale scommessa nei confronti di questo nuovo progetto?
Vorrei, con il mio team, fare qualcosa di diverso. Essere prima di tutto riconoscente per l’opportunità che mi è stata offerta attraverso la creazione di un valore che sia tangibile nel corso degli anni, non soltanto economico-finaziario. Oggi è come se foste una start-up dell’eyewear, quali sono gli step da compiere per arrivare a competere con i colossi del settore? Sarà un percorso lungo e intenso. Attraverso accordi di licenza, il nostro è un business che colloca i marchi di Kering nell’occhialeria tra i primi 5 player. Però è anche vero che siamo un’azienda che ha appena iniziato. Un anno e mezzo fa eravamo 5 persone, oggi siamo 270, alla fine di quest’anno saremo circa 450 e al termine dell’anno prossimo circa 700 persone. Il percorso che stiamo portando avanti ci porterà ad essere presenti in tutti i mercati con tutto il nostro portafoglio. Abbiamo fatto un primo lancio di Kering Eyewear lo scorso giugno a Venezia, a Palazzo Grassi, presentando “Collezione 1” per otto brand. Abbiamo presentato la collezione spring-summer per 11 marchi e dal 1° gennaio 2017 ci sarà anche Gucci.
Quale giro d’affari alimenta ogni anno l’eyewear dei brand di Kering?
Attraverso degli accordi di licenza, la dimensione dei marchi di Kering nel settore dell’eyewear era di circa 350 milioni di euro. Quindi, auspichiamo che nel percorso d’internalizzazione, con il tempo, potremo riuscire ad arrivare a livelli simili o anche superiori.
Kering Eyewear si occuperà soltanto di marchi interni al gruppo o in futuro ci sarà la possibilità di stringere accordi di licenza con altri brand?
No, il focus è, e rimane, solo sui brand del gruppo. Abbiamo la fortuna di avere un portafoglio brand estremamente rilevante, molto ben diversificato e quindi lavoreremo solo su quello.
Dove si trova la vostra sede?
Il nostro head quarter si trova Padova in una dimora storica nella quale abbiamo avuto la fortuna di poterci insediare. Villa Zaguri ha una posizione estremamente strategica per la vicinanza al distretto dell’occhiale e al nostro network di produttori e artigiani.
Dove avviene la produzione?
Senza il vincolo di una produzione propria abbiamo la libertà di scegliere tra l’eccellenza della produzione costruendo un network di manifattura selezionata maggiormente concentrata in Italia, ma anche in Giappone.
di Rossana Cuoccio