I professionisti del settore prendono atto della fase di cambiamento imposta dai social. Ma emergono visioni opposte sull’opportunità di adottare nuovi modelli.
La moda è in mezzo a una rivoluzione strutturale. Mentre il Cfda di New York riflette sulla possibilità di modificare l’organizzazione tradizionale della propria fashion week, alcune griffe si sono già portate avanti (vedi articolo nelle pagine precedenti) ed è facile prevedere che l’elenco si arricchirà nel prossimo futuro. Tra gli addetti ai lavori sta prendendo sempre più corpo l’idea che, negli ultimi anni, si sia vissuto in un sistema appartenente a un’altra epoca.
TEMPO DI CAMBIARE
Non è chiaro come saranno le sfilate di domani. Ma è certo che non saranno più come le conosciamo oggi. Una considerazione che, se da una parte spaventa, dall’altra elettrizza proprio perché, nella moda, il bisogno di uno scossone si sentiva da tempo: “Credo sia nell’attesa di tutti – ha dichiarato a Pambianco Magazine Massimo Degli Effetti, titolare della boutique Degli Effetti – che venga meno questo sistema da torre d’avorio in cui la moda si è sempre rifugiata. Poiché, sempre più spesso, è la ‘strada’ a dettare la legge, bisogna avere una visione più aperta e vedo positivamente una moda democratica. Dopo 40 anni di prêt-à-porter qualunque tipo di assetto andrebbe cambiato e va cambiato anche questo: il mondo è mutato rispetto a quando tutto questo è iniziato. Le sfilate sono facilmente superabili. Le griffe, aldilà della passerella, faranno conoscere la collezione tramite social media e media tradizionali”. Le sfilate sono state molto spesso una fonte di grossa spesa inutile, fatta solo per la stampa e per i compratori, ha sottolineato Claudio Antonioli, titolare della boutique Antonioli: “Nel mio lavoro posso comprare un prodotto vedendolo anche solo in show room. Probabilmente va ripensato il ruolo e il peso delle sfilate perché, nel mondo intero, tutto è subito visibile. Il web e i social media sono un avvento totale di libertà. La sfilata, oggi, viene vista istantaneamente in tutto il mondo e, proprio per questo, è più importante di prima: se prima era solo per gli eletti, ora riesce a raggiungere tutti, consumatori compresi, ed è positivo per l’immagine di un brand”. Una considerazione importante è che New York, come ha precisato Antonioli, non è mai stata la fashion week più frequentata: “Forse il problema è che alle sfilate di New York non ci andava nessuno e quindi ha un senso cambiare. Non è mai stata la fashion week più amata, ma quelle di Parigi e di Milano sono un’altra cosa”. Anche se il futuro delle sfilate sarà probabilmente allineato a quanto sta succedendo nella Grande Mela, è da valutare anche il fatto che il Cfda si stia portando avanti rispetto al resto del mondo per una questione di convenienza e visibilità.
DALLA PARTE DELLE SFILATE
Ma se da una parte c’è chi prende in considerazione l’evoluzione delle sfilate, dall’altra ci sono dubbi e incertezze. Le sfilate, così come sono oggi, a detta di alcuni hanno ancora senso di esistere e sono ancora considerate insostituibili. “La mossa di New York – ha dichiarato Angela Adani, titolare de La Boutique di Adani – è un colpo forte al mondo del lusso. La possibilità che avevamo noi commercianti e addetti ai lavori di vedere le sfilate in anteprima ci ha sempre permesso di conoscere quei dettagli (artigianalità, bellezza dei tessuti, finiture) impossibili da captare sul web e che sono stati alla base dei nostri ordini. Anche se, dati alla mano, il web è di una potenza straordinaria, non trovo che questo cambio di registro sia positivo: potrei capire un discorso di democrazia se si stesse parlando di fast fashion, ma il lusso è un’altra cosa”. La forza delle sfilate sta nel fatto che, in quel momento, la maison trasmette un’emozione, un concetto che è possibile comunicare solo in passerella: “La sfilata fa bene a tutti – ha dichiarato Silvana Ratti, titolare della boutique Ratti – perché il marchio, in quel momento, comunica qualcosa che per noi buyer è fondamentale: non ci si può limitare a scegliere e basta un prodotto senza aver fatto i conti con l’emozione che quel brand è capace di suscitare. Proprio per questo, la sfilata fa bene a tutti, non solo ai grandi marchi, ma anche alle piccole case di moda per comunicare la propria essenza al pubblico e agli addetti ai lavori. Per questo motivo spero che le sfilate continuino sempre, nel bene e nel male”.
MALEDETTI SOCIAL
A detta di tutti i social media hanno avuto la parte da protagonista in questo cambio di regia: “I social hanno fatto tutto, hanno influito tantissimo – ha dichiarato Degli Effetti –. Oggi è assurdamente tutto online, tutto attraverso i social: è positivo ma deve essere messo un po’ più sotto controllo. Credo che senza regole a tutela dei marchi i momenti di disturbo possano essere molti”. Sulla stessa linea d’onda è Antonioli: “Sicuramente hanno influito molto nel mondo della moda: in passato si acquistavano i giornali per seguire il mondo e le tendenze, oggi lo si fa con i social network. Bisogna però saperli usare e la cosa che può turbare è che, proprio perché coinvolgono un vasto numero di persone, sono meno controllabili degli altri media”. Il web e il suo correre veloce sono quindi i principali responsabili di questa rivoluzione: “È l’online che chiede di essere più immediati – ha ripreso Ratti –. Come buyer mi auguro che le sfilate ci saranno sempre e nei periodi giusti”. Adani riconosce la potenza dei social media e dell’online, senza tuttavia sottovalutare le drastiche conseguenze che potrebbero nascere: “I social hanno influito moltissimo e saranno sempre più potenti. Un giornale o lo schermo di computer, tuttavia, non sono come le vetrine di un negozio perché non sono in grado di comunicare al meglio un prodotto. Se non ci aiuteranno a spegnere un po’ di fuoco sul web i negozi finiranno per non esserci più: già negli ultimi dieci anni hanno chiuso i battenti in molti. Nel futuro, infatti, venderà più internet che non il negozio, ma saltare il punto vendita può portare a non vedere la merce proprio perché solo in boutique un cliente può toccare con mano la qualità di un capo”.
di Letizia Redaelli