Dopo la caduta delle sanzioni, da gennaio l’Iran è tornato un importante partner per l’Italia. C’è voglia di brand, e la capitale sta studiando una fashion avenue.
“L’Iran è il luogo di maggiore crescita al mondo”. È il titolo un articolo di inizio febbraio di Business Insider, testata inglese rivolta agli investitori. La tesi è semplice: mentre tutto il mondo è in frenata, le prospettive sono opposte a Teheran e dintorni. Dopo un ‘tappo’ di cinque anni di sanzioni, a metà dicembre è arrivato l’Implementation day, giorno della caduta dei provvedimenti internazionali. E, per l’Italia e i suoi marchi del lusso, potrebbe essere l’occasione di una bella boccata d’ossigeno. Non a caso, la delegazione italiana di fine 2015 è stata (per una volta) tra le più consistenti alla volta dell’ex impero persiano. Prima delle sanzioni, secondo un’analisi di Internazionale, l’Italia era il secondo partner europeo dell’Iran, dopo la Germania: nel 2011 l’interscambio (somma di importazioni ed esportazioni) aveva toccato il massimo storico, sette miliardi di euro (il peso maggiore era quello del comparto petrolifero). Crollato con le sanzioni (nel 2013 il minimo, 1,2 miliardi), ha cominciato lentamente a risalire l’anno successivo (dati della Camera di commercio italoiraniana). Nel 2015, (da gennaio a luglio) ha raggiunto i 959 milioni secondo i dati dell’Ice. Le esportazioni italiane (1,15 miliardi nel 2014) sono state, fino a oggi, concentrate su macchinari, motori, chimica e materiali in metallo. Ma l’Iran “per la moda è un mercato ad alto potenziale – spiega Shahab Izadpanah, tra i maggiori importatori fashion del Paese* – dove per un marchio c’è spazio per diventare famoso”. Le ragioni dell’ottimismo poggiano sul buon livello culturale del Paese (77% di alfabetizzazione e una tradizione di ricchezza) e sulla “elevata capacità di riconoscere la qualità, in rapporto al prezzo: non a caso qui hanno avuto successo Benetton e Mango”. Il segmento favorito è quello più ‘accessibile’, vista la non elevata disponibilità economica procapite e, soprattutto, la giovanissima età media (meno di 28 anni) della popolazione di circa 80 milioni di persone (il 24% è sotto il 14 anni). Ma anche segmenti più alti potrebbero trovare importanti occasioni di sviluppo. “C’è molto desiderio di acquistare brand – riprende Izadpanah – poiché negli anni, viste le problematiche di ingresso, si è amplificato il mercato dei falsi. E questo ha creato la cultura dello shopping oltre frontiera”. Oggi, c’è chi può permettersi gli acquisti in patria. Ma restano da superare gli ostacoli valutari (“c’è ancora una import tax che, almeno sulla carta, può arrivare al 100%”) e quello della distribuzione retail. “L’Iran ha un problema con i department store – spiega l’imprenditore –. Non ci sono mall di livello adeguato“. Le griffe che sono sempre rimaste qui (Izadpanah cita Rolex e Swatch**, mentre rileva l’assenza dei big brand italiani) hanno occupato gli alberghi più prestigiosi. Ma ora potrebbe aprirsi un nuovo canale: “C’è allo studio a Teheran una Fashion Avenue. Il progetto stiamo iniziando a proporlo ai marchi europei”.
*Notizia modificata il 26 febbraio alle ore 9.22
Izadpanah ha richiesto una modifica. Precedentemente la frase era: “… tra i maggiori importatori di tecnologia del Paese, oggi pronto a scommettere sul fashion”.
**Notizia modificata il 26 febbraio alle ore 12.00
Izadpanah ha richiesto una modifica della citazione originaria che riguardava Rolex e Cartier.