Cosa accadrà oltre la Grande Muraglia? È questa la domanda che circola da un po’ negli ambienti del lusso, e che, dopo la scossa di questa estate, ha tolto qualche sicurezza a molti.
Le griffe e gli analisti finanziari hanno minimizzato la caduta delle Borse e le conseguenze di un rallentamento del Pil, ritenendo che, comunque vada, la Cina resterà il motore (o uno dei motori) della crescita dello shopping mondiale e quindi dei conti dei principali luxury brand. Tuttavia, le stesse griffe hanno già avviato riflessioni su come tagliare i costi del retail, segno di cautela verso una domanda non più a senso unico: lo scenario è quello di un mercato cinese più variegato, non solamente orientato ai top brand, ma capace di riconoscere valore e spazio anche ad altre fasce di prodotto.
La prospettiva di questo mercato cinese più variegato, più ricettivo verso nuove formule di moda, apre la strada a un lusso più accessibile, capace di abbinare un miglior rapporto qualità/prezzo ad altre caratteristiche distintive. Ovvero la capacità di esprimere particolarità e originalità, nonché di suscitare emozioni per la propria storia. Tutti aspetti tipici della gran parte delle imprese italiane.
Di fronte a questi cambiamenti del grande mercato orientale, proiettato verso un business più trasversale per posizionamento e prezzi, assume rilievo la strategia d’internazionalizzazione adottata dalla Camera della moda per le sfilate di Milano. L’ente milanese, infatti, ha scelto di non scommettere, come fatto da altre manifestazioni, su testimonial stranieri di richiamo “one shot”, per puntare invece sulla presenza di brand esteri più commerciali e di piccola dimensione, che potranno consolidare la presenza nelle prossime edizioni. Un’altra caratteristica di questa strategia è la reciprocità. In particolare, sul fronte Cina, si è strutturata una formula per cui la prossima settimana della moda ospiterà sei stilisti cinesi e, per contro, quattro giovani stilisti italiani sfileranno oltre la Grande Muraglia nei prossimi due mesi.
Insomma, si tratta di una internazionalizzazione che punta a valorizzare le imprese emergenti cinesi, e che tenta di proporre in cambio qualcosa di nuovo in segmenti diversi da quelli finora dominanti nel Paese del Drago.
È una internazionalizzazione dei piccoli passi, ma sintonizzati con uno dei principali mercati mondiali.
David Pambianco