Nelle ultime settimane, il settore del design italiano ha ascoltato due voci predominanti. Pur con toni differenti, veicolano lo stesso messaggio. La prima voce è arrivata dall’esercito di oltre 300mila persone che ha invaso Milano per il Salone del Mobile, i cui accenti, mai come quest’anno, sono stranieri.
L’altra voce è quella sotterranea che riguarda le cessioni e acquisizioni di aziende. Questa circola nel settore e ha alzato il volume da inizio anno. Da gennaio, tra operazioni portate a termine, annunciate o semplicemente ventilate, l’elenco è prossimo alla decina.
Il messaggio è chiaro, da un lato l’internazionalizzazione è ormai inarrestabile, dall’altro il processo di M&A sta accelerando. Entrambi i fenomeni sono parte dello stesso coro: lo sviluppo futuro del design e dell’arredo made in Italy passa dalla crescita oltre confine, e questa richiede una dimensione e quindi un consolidamento che consenta di raggiungere i nuovi mercati di riferimento (a partire dall’Asia).
Attenzione, però. Non è soltanto una questione di volumi prodotti. Bensì, e forse ancor più, è un problema di capacità di interazione con mercati che cambiano a grande velocità. Una sfida cruciale è la sostituzione del modello wholesale sul quale è appoggiata la maggior parte delle pmi del comparto sino a oggi: in prospettiva, sarà necessario confrontarsi in modo più deciso col retail, quindi con una distribuzione diretta, e implementare le strategie di contract, magari coinvolgendo nel percorso anche designer e architetti.
Volumi e capacità di gestione di una distribuzione complessa impongono il raggiungimento di un livello dimensionale adeguato. Sino a oggi, la situazione di partenza molto frazionata, unita al forte senso di identità (e protagonismo) che ognuna delle aziende del settore porta con sé, ha complicato parecchio le cose. E, talvolta, ha portato a perdere occasioni di aggregazione industriale.
Nei giorni scorsi, il CEO di un colosso americano dell’arredamento ha raccontato, in un’intervista al Corriere, come l’azienda familiare che guida si sia trasformata rapidamente nel momento in cui ha accettato la scommessa della quotazione, e ancor più profondamente attraverso le operazioni di M&A. E ha spiegato che “l’Italia è il Paese in cui abbiamo il nostro quartier generale europeo, dove abbiamo due stabilimenti, dal quale compriamo una parte importante delle nostre materie prime e da cui esportiamo molto verso l’Europa e il Nord America. Soprattutto, è un Paese importante per il design”. È un segnale chiaro su dove saranno le prossime acquisizioni.
David Pambianco