Anche nel design la logica del mercato impone il superamento della tradizione. Il settore porta nel DNA una struttura industriale fortemente incentrata sulla specializzazione. Per intenderci, si è sempre parlato di aziende ‘di divani’, ‘di cucine’, ‘di sistemi giorno’, ‘di ufficio’ e così via. E la stessa rigida ripartizione si ritrovava nel Salone del Mobile, a livello di padiglioni. Il compito di assemblare l’offerta per il cliente finale, in base alle sue esigenze di prodotti, stili e prezzi è sempre stato demandato al distributore che aveva a sua volta un portafoglio di fornitori di letti, sistemi, bagno, cucina, e cosi via.
Va detto che questa specializzazione ramificata e dalle forti connotazioni artigianali ha portato, fino a ieri, all’affermazione del nostro sistema industriale sui principali mercati internazionali.
In questa industria a scomparti, però, sembrano oggi essere cadute le barriere. Complice il mondo del contract internazionale, che chiede fornitori in grado di arredare una casa completa. Complice anche la crescente consapevolezza che il brand, su cui le aziende principali del settore hanno messo in atto milioni di investitimenti, non può poi limitarsi a essere ‘applicato’ solo su poche categorie merceologiche del mondo casa. Complice, infine, anche l’ingresso nel settore casa da parte dei marchi della moda che sin da subito hanno proposto un arredamento globale dove – grande novità – non sono i singoli prodotti e il designer al centro della scena, ma lo è l’ambientazione dei diversi oggetti e il brand che questi portano, senza alcuna menzione del designer ideatore di questi prodotti.
Oggi, quindi, l’obiettivo è quello di “saper fare tutto”. Certo, con differenti gradi di intensità e differente ventaglio di prodotti a seconda della dimensione aziendale. Il cambio di approccio è evidente, e anche il Salone del Mobile, a fatica, si è adattato con una più libera distribuzione dell’offerta nei vari padiglioni.
La strada appare segnata e questo modello brand-centrico sta imponendo un’accelerazione alla crescita dimensionale delle aziende (e del fabbisogno finanziario) e, per contro, imporrà una selezione nel numero di marchi. Questo non significherà necessariamente perdere in qualità da parte dell’industria nel complesso, in quanto le abilità ‘artigianali’ saranno semplicemente allocate sotto bandiere differenti. Ci sarà forse meno ‘varietà di offerta’, ma, in compenso, si può sperare che il percorso porti alla nascita di poli aggreganti, capaci di porre una barriera allo shopping estero di aziende made in Italy.
David Pambianco