Arruffati, scomposti e con l’animo punk. Eppure, sono nati e vissuti in una famiglia borghese, a due passi dalla Madonnina, vacanze pagate e ultima tecnologia sempre in tasca. E’ questo il giovane milanese che storce il naso quando la sua città diventa un nugolo di traffico (di macchine e di persone) per colpa della settimana della moda.
Sbuffa scocciato l’acerbo anticonformista che rifiuta l’ambiente in cui è cresciuto, incrociando lo sguardo dei coetanei muniti di invito al defilè di turno, decisamente troppo eccentrici per i suoi gusti. Mica come lui, che neanche si sogna di mettere piede in una costosa boutique per comprare un abito firmato, anzi, ricicla e ruba dall’armadio del papà giacche e pantaloni sartoriali, che però gli vestono un po’ grandi. E poi, trasforma e stravolge tutto, con le borchie, gli strappi ai pantaloni, le spille e il dilatatore all’orecchio.
Ma quello che non sa, è che gli stilisti che tanto disdegna, si ispirano proprio a lui, al bad boy di buona famiglia che si inventa il proprio stile davanti allo specchio. Lo ha fatto Andrea Pompilio con il suo brand, con le borchie tono su tono sui colletti delle camicie bianche, i grandi occhielli che forano camicie e pezzi classici, e la gonnella plissettata rubata dal guardaroba della mamma, cucita all’orlo della camicia con ‘effetto kilt’. Cattivo ragazzo anche quello di Philipp Plein, che indossa jeans skinny completamente squarciati, giubbotti in pitone laminato o in coccodrillo spalmato impermeabile, con effetto tuta da sub.