In piazza contro Roberto Cavalli. E non contro le pellicce, come spesso accade nel mondo della moda. Lo stilista toscano, infatti, ha attirato sul proprio brand le ire islamiche per colpa di un profumo, a causa del logo scelto per la fragranza Just Cavalli. Secondo la comunità religiosa, il simbolo non sarebbe altro che un emblema dell’Islam che significa ‘purezza’ formata da due archi simmetrici collegati al loro centro, ma girato di 90 gradi e ‘decorato’ con una fantasia che ricorda la pelle del pitone, e quindi trasformato in un simbolo impuro.
Le mobilitazioni si sono verificate davanti alle boutique di Roberto Cavalli a Dallas, Los Angeles, New York, Washington, Düsseldorf (Germania) e Londra e altre ancora sono previste in altre città, tra cui Parigi. La campagna di protesta ha anche fatto anche il giro dei social network con l’hashtag #TakeOffJustLogo.*
*Notizia integrata il 12/6/2014 alle h.12:00.
L’azienda ha inviato la seguente precisazione: “Roberto Cavalli SpA precisa che nell’autunno dello scorso 2013 è stata intentata una causa dalla Scuola Sufista presso l’OHIM con richiesta di cancellazione del marchio JC, peraltro in uso sui prodotti Just Cavalli già dal 2011, sulla base dell’accusa di confondibilità tra il logo JC ed il simbolo religioso dei Sufisti e quindi di offesa alla religione sufista. Il 16 maggio 2014 l’Office Harmonization in The Internal Market (OHIM) dell’Unione Europea si è pronunciato in prima istanza rigettando la richiesta di invalidazione del logo JC da parte della suddetta Scuola dato che, secondo la Corte, i due loghi non sono confondibili e non presentano similitudini significative. Inoltre l’OHIM non ha ravvisato nel logo di Just Cavalli alcun elemento blasfemo e/o offensivo nei confronti di alcuna religione, né nello specifico nei confronti del sentimento religioso degli appartenenti alla Scuola Sufista, e ha condannato la Scuola Sufista a farsi carico di tutte le spese processuali sostenute dalla Società. Roberto Cavalli SpA è chiaramente dispiaciuta per il sentimento di disagio espresso dagli studenti della Scuola Sufista, ma auspica che la sentenza emessa da un organo competente in materia come l’OHIM convinca gli adepti della religione sufista della totale buona fede della stessa nonché dell’infondatezza delle loro pretese”.