Messi sotto pressione per la risonanza che ha avuto la tragedia, i giganti del tessile hanno cominciato a reagire. Due commissioni sono state aperte dopo il crollo del Rana Plaza, lo stabile della periferia di Dhaka, in Bangladesh, che ha ceduto il 24 aprile scorso provocando la morte di oltre 1100 lavoratori.
Tra i retailer occidentali, la catena svedese H&M, il gruppo spagnolo Inditex (Zara, Bershka, Stradivarius) e l’olandese C&A sono stati tra i primi ad aderire a un accordo teso a impedire un’altra tragedia migliorando le condizioni di sicurezza e irrigidendo le regole anti-incendio, oltre a rafforzare i diritti dei lavoratori. L’accordo verrà reso pubblico il 15 maggio e conta di raccogliere altre adesioni perché l’intesa possa funzionare, in primis Pvh (che raccoglie i marchi Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Izod) che si sarebbe già detta disposta a firmare il protocollo.
In serata è arrivata anche la notizia della firma tutta italiana di Benetton, il cui nome era emerso nei giorni successivi al crollo tra quelli delle aziende che si appoggiavano all’edificio per la produzione dei propri capi.*
Ma non basta, il ministro responsabile per l’industria tessile del Paese, Abdul Latif Siddique, ha annunciato che una commissione composta da rappresentanti sindacali e proprietari di fabbriche lavorerà all’aumento dei salari minimi per più di tre milioni di lavoratori del settore tessile, che per ora portano a casa meno di 30 euro al mese (strappati nel 2010 dopo mesi di violente proteste di strada).
Un’altra commissione è stata infine istituita la settimana scorsa per ispezionare gli stabili che ospitano migliaia di fabbriche, soprattutto di quelle catene occidentali di abbigliamento che è necessario per l’industria del Paese che si continuino ad appoggiare come fonte di manodopera a basso costo (il Bangladesh è infatti il secondo esportatore di abbigliamento dopo la Cina e impiega 4,5 milioni di persone).
* notizia integrata il 15/05/2013 alle ore 10.20