Il settore calzaturiero, dopo cinque anni di affanni negli ultimi mesi dello scorso anno sembra aver di nuovo rialzato la testa. I dati relativi ai primi mesi del 2007, pur con tutte le cautele dovute al limitato orizzonte temporale, sembrano consolidare alcune indicazioni positive di cambiamento emerse già verso la fine del 2006. Se non si tratta certo di un�inversione di tendenza radicale, gli esperti del settore segnalano tuttavia che la congiuntura calzaturiera conferma segnali di progressivo miglioramento: la caduta dei volumi prodotti, che aveva caratterizzato il quinquennio precedente, si è arrestata, e la domanda, interna ed internazionale, mostra più di un segnale di ripresa, soprattutto in termini di valore.
Di particolare significato appare non solo la tenuta delle quantità prodotte ed esportate, ma soprattutto l�apprezzabile incremento del valore e del prezzo medio. «Leggendo i dati, sembra emergere la rinnovata capacità di costante miglioramento della qualità dell�Italia calzaturiera e una propensione all�innovazione non solo concentrata sul prodotto bensì rivolta a 360� a tutti gli aspetti dell�organizzazione aziendale. è chiaro che questi risultati non potranno che passare attraverso processi di ristrutturazione e riorganizzazione con qualche inevitabile e fisiologico sacrificio sui livelli di occupazione fin qui assicurati», spiega Vito Artioli, presidente dell�Anci, l�Associazione nazionale calzaturifici italiani.
I dati Istat relativi al primo trimestre evidenziano un incremento delle esportazioni in valore del +7,7% sull�analogo periodo del 2006, accompagnato da una lieve crescita anche in quantità (+1,2%). Il +5,5% in valore realizzato sui mercati comunitari (a cui sono dirette 7 calzature su 10 esportate) – tra cui spiccano il recupero del +7,1% registrato sul mercato francese e ancor più il +20% su quello spagnolo – è stato accompagnato da incrementi ancor più sostenuti nei Paesi al di fuori dell�Unione Europea (+11%). Tra questi: Svizzera (+10,4% in valore), Canada (+12,2%) e soprattutto Russia, che con incrementi nell�ordine del 30% sia in valore che in termini di volume conferma gli ottimi risultati del biennio precedente.
Una rinascita che passa ovviamente attraverso la tradizione che contraddistingue alcuni dei più celebri marchi italiani e l�innovazione, vero motore di ogni settore. Un esempio italiano di innovazione è il gruppo Geox, che coniugando le politiche commerciali simili a quelli dei grandi marchi sportivi internazionali con una trovata tecnologica («la scarpa che respira») è riuscito non solo a moltiplicare il proprio fatturato, ma anche a raccogliere il plauso degli investitori finanziari. Un esempio di tradizione, invece, sono quei marchi che puntano sul design tipico del made in Italy, come le scarpe proposte da Sergio Rossi, Fratelli Rossetti, Santoni e Cesare Paciotti, senza dimenticare poi marchi come Gucci, Valentino e Hogan.
«Da questo punto di vista l�adozione in sede europea dell�obbligatorietà del marchio di origine “Made in” per i prodotti importati nell�Unione Europea appare la condizione indispensabile, oltre che per assicurare una corretta informazione al consumatore, per non subire la concorrenza sleale di quelle lobbies di importatori e distributori del Nord Europa che fanno del silenzio sull�origine la più importante delle loro chiavi competitive», rincalza Artioli.
Estratto da Affari&Finanza del 17/09/07 a cura di Pambianonews