Sarà per il rumore dei telai o per la musica ad alto volume delle sfilate ma nelle aziende della moda le parole del ministro dell'Economia Domenico Siniscalco non si sono sentite.I dati arrivano dall'ultima indagine congiunturale del Centro studi di Smi (Sistema moda Italia), l'associazione di settore che ha appena avviato la fusione con i tessili dell'Ati. Dalle 230 aziende che fanno parte del campione arrivano segnali poco confortanti: la produzione registra un calo tendenziale per l'ottavo trimestre consecutivo (-3%) e anche i posti di lavoro continuano a diminuire. Dalla fine del 2002, il calo cumulato dell'occupazione è stato dell'11 per cento e le vendite non promettono nulla di buono: gli ordini dei negozi e dei distributori per la prossima stagione sono in calo del 2% e da tre anni a questa parte la flessione è del 21 per cento.
I dati non lasciano spazio a una ripresa in tempi brevi. «I numeri purtroppo sono negativi. Le vendite nei negozi in Europa sono in forte difficoltà e gli unici segnali positivi vengono dai nuovi mercati», spiega Paolo Zegna, presidente della nuova associazione nata dalla fusione di Ati e Smi. «Di positivo c'è un nuovo spirito nel settore. Dopo i primi mesi dell'anno di forte tensione, dice Zegna, con l'accordo raggiunto tra Unione europea e Cina sembra tornata la volontà di guardare avanti, di reagire. E questo è molto importante».
«Non si percepiscono segnali di inversione di tendenza», avverte Moritz Mantero, che a Como guida un gruppo tessile con 105 milioni di fatturato. È un fornitore dell'abbigliamento e dal suo osservatorio ha già un primo riscontro sull'anno prossimo: «I segnali sulla primavera 2006 sono ancora negativi. L'Europa è piatta, vanno bene solo i prodotti venduti a prezzi bassi, di grandi catene straniere».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 17/07/05 a cura di Pambianconews